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Il diavolo si nasconde nei dettagli, sostiene l’anonima saggezza popolare. A volte, si potrebbe aggiungere, anche nei commi. Nel disegno di legge svuota-province che porta il nome di Graziano Delrio, approvato definitivamente dalla Camera il 3 aprile scorso, la parola «Lombardia» appare due volte soltanto. Articolo 1, comma 49, lo stesso in cui appare la parola «Expo».

Il comma in questione stabilisce che tutte le partecipazioni azionarie della Provincia di Milano, dirette o indirette, in società che stanno realizzando infrastrutture «comunque connesse» a Expo 2015, sono destinate a passare – in regime di esenzione fiscale – sotto il controllo del Pirellone. Fino al 31 ottobre 2015, quando dovrebbero essere trasferite alla nascente, per ora inesistente, Città metropolitana milanese.

Nel giro di tre mesi dall’entrata in vigore della legge che riforma le province italiane, si assisterà quindi a un’operazione di esproprio da parte di un ente pubblico (la Regione Lombardia) ai danni di un altro ente pubblico (la Provincia di Milano), che non sembra avere precedenti nella storia della Repubblica.

Quali siano le società coinvolte, il testo della legge non lo dice. Ma è facile scoprirlo. Si tratta essenzialmente della Milano-Serravalle Spa, la società che la Provincia di Milano controlla attraverso la holding Asam. A sua volta Milano-Serravalle, attraverso una controllata, è concessionaria dell’Autostrada Pedemontana Lombarda, una delle tre autostrade di Expo, inserita a suo tempo nel dossier italiano di candidatura assieme alla Bre.Be.Mi e alla Teem.

La Pedemontana è un’opera in costruzione dai costi faraonici. L’impegno finanziario richiesto, secondo il progetto approvato dal Cipe nel 2009, è di 5 miliardi di euro, per un totale di 67 chilometri di strada. La Pedemontana è molto di più che un semplice nastro d’asfalto, e si trova al centro di un’intricata partita economica e politica. Quella delle autostrade lombarde, in cui la Regione – governata dalla Lega di Roberto Maroni – si appresta a entrare da protagonista.

LA POSTA IN GIOCO
La Milano-Serravalle Spa, che il ddl Delrio toglie senza indennizzo alla Provincia e assegna al Pirellone in regime di esenzione fiscale, nel corso del 2013 è stata messa in vendita da Palazzo Isimbardi per ben tre volte. In tutti e tre i casi, le aste sono andate deserte.

L’assessore provinciale alle Infrastrutture e ai Trasporti, Giovanni De Nicola, non ha esitato a denunciare quello che ai suoi occhi è un provvedimento legislativo che danneggia gravemente le casse dell’ente, impegnato a chiudere con grandi difficoltà gli ultimi due bilanci della sua storia, e che dalla vendita di Serravalle sperava di incassare centinaia di milioni di euro.

Le quote di proprietà della Provincia, pari al 52,9% del totale, finora non le ha volute nessuno. Eppure la società macina utili: l’ultimo bilancio disponibile, relativo all’esercizio 2012, presenta un utile netto di 19,6 milioni di euro, in crescita del 15% sull’anno precedente. La società fattura tra i 200 e i 220 milioni di euro all’anno e il gruppo Gavio, che ne possiede il 14%, al contrario della Provincia di Milano non hai mai mostrato l’intenzione di voler cedere la sua parte.

Perché quindi la Provincia non è riuscita a vendere Serravalle?

Secondo Sara Monaci, giornalista del Sole24Ore, il problema è che Serravalle «ha una figlia molto costosa», l’Autostrada Pedemontana Lombarda.

Una figlia su cui, grazie al ddl Delrio, sarà la Regione Lombardia a esercitare la patria potestà. Per il governatore Roberto Maroni, spiega ancora Monaci, «la realizzazione di questa infrastruttura è importante non solo (e non tanto) per Expo, quanto per la sua immagine politica».

Del resto, i lavoratori impiegati nei cantieri sono più di 3 mila, e non va dimenticato che uno dei lotti principali della Pedemontana si estende nel varesotto, terra d’origine di Maroni e roccaforte politica dei suoi consensi.

La Regione Lombardia, acquisendo il controllo di Serravalle fino al 31 ottobre 2015, eredita così – per legge, e senza spendere un euro – la possibilità di gestire il futuro prossimo di un’opera strategica come Pedemontana, e in prospettiva anche il potere di negoziare con i territori interessati il processo di valorizzazione innescato dalla sua progressiva realizzazione.

«Le infrastrutture sono potere. Perché intorno all’autostrada nasce di tutto», afferma una fonte interna al mondo delle autostrade lombarde, che preferisce rimanere nell’anonimato. «La Regione, non essendoci più la Provincia, che aveva il ruolo di coordinamento dei Comuni, assume tutto questo potere… che è edificatorio, trasportistico, di valorizzazione delle aree… Un grande potere di trattare con i Comuni, di dirigere i loro piani urbanistici e fare accordi che convengano a entrambe le parti. La partita non è 1 miliardo di euro investito, 7 miliardi di ricchezza prodotta. E’ molto, molto, ma molto di più».

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Fin qui gli onori, ma la partita delle autostrade ha anche degli oneri, piuttosto rilevanti per i cittadini lombardi. La Regione infatti, subentrando alla Provincia di Milano nelle società impegnate a costruire le infrastrutture di Expo, dovrà farsi carico anche dei debiti che pesano sui loro bilanci.

Per rendersi conto delle dimensioni del problema occorre ripercorrere le vicende di Asam, la holding di proprietà della Provincia di Milano che controlla a cascata Milano-Serravalle Spa e quindi Autostrada Pedemontana Lombarda Spa.

Fra il 2008 e il 2010, la holding di proprietà della Provincia ha ottenuto due finanziamenti bancari: uno di 80 milioni di euro, da Dexia Crediop e Banca Nazionale del Lavoro, e un altro di 100 milioni di euro, dalla sola Bnl.

Poi, a dicembre 2012, Asam ha venduto la sua quota del 14,56% nella società aeroportuale Sea al fondo F2i di Vito Gamberale, unico offerente, incassando 147 milioni di euro. Una quarantina in meno rispetto al valore minimo della quota, stimato pochi mesi prima dall’advisor indipendente Barclays Bank in 190 milioni di euro.

Anziché destinare l’importo a ripagare i debiti con le banche, come previsto dai  contratti di finanziamento, Asam ha preferito girare i soldi ai propri azionisti, la Provincia di Milano e la Provincia di Monza e Brianza.

Un’operazione che, come ha scritto Fabio Monti, ex presidente del collegio sindacale di Asam, nella relazione che accompagna il bilancio 2012 approvato con il suo dissenso, ha determinato «un grave danno» economico a carico della società. Maggiori oneri finanziari, che non ci sarebbero stati se le banche fossero state rimborsate, e maggiori interessi moratori, imposti dalle banche creditrici per la violazione dei contratti di finanziamento.

Ma c’è di più. «L’operazione censurata – continua Monti nella sua relazione – ha posto il problema della possibile compromissione della continuità aziendale di Asam [e] di fatto ora obbliga Asam a cedere la partecipazione in Milano Serravalle per poter eseguire, il prima possibile e quindi in una condizione di debolezza […] quel rimborso dei finanziamenti che Asam poteva fare, e che anzi avrebbe dovuto fare» già dopo la vendita delle quote in Sea.

Oggi, i debiti di Asam con le banche ammontano a circa 160 milioni di euro. A pagarli saranno chiamati i cittadini dell’intera Lombardia, perché il ddl Delrio assegna alla Regione sia gli utili di Serravalle, rimasta invenduta dopo tre tentativi di asta andati a vuoto, sia i debiti di Asam, consegnando nelle mani del Pirellone il futuro incerto di Pedemontana.

EXPOI? LA LOBBY DEL PIRELLONE
«Le partecipazioni azionarie delle società della Provincia (Pedemontana, Serravalle, Asam) che hanno a che fare con Expo passano alla Regione entro 90 giorni. Quindi ci saranno tre soggetti: la Regione, la Provincia, che non è ancora morta, e la Città metropolitana, che non è ancora nata, che dovranno occuparsi delle competenze su quest’area. Rischia di esserci il caos istituzionale». Il governatore Roberto Maroni ha recentemente annunciato un incontro con il Governo per discutere sul da farsi, «per evitare che questa legge [il ddl Delrio] complichi ancora di più la via verso Expo, perché il rischio è questo».

Eppure, al di là delle apparenze, c’è chi sostiene non solo che Pedemontana ormai non sia più un’opera connessa ad Expo. Ma anche che, ai piani alti del Pirellone, qualcuno abbia già le idee molto chiare sul destino delle società coinvolte nella realizzazione dell’autostrada.

Sara Monaci, che ha seguito fin dall’inizio la vicenda per il Sole24Ore, afferma in proposito: «Pedemontana, come Serravalle, non sono più cose connesse all’Expo. C’era un grande dossier delle meraviglie, nel 2007. Oggi ci si rende conto che ogni mese c’è un’opera che viene cassata, ogni mese c’è un’opera in meno. Cosa slitta? Sicuramente Pedemontana. L’intento è di fare il primo tratto, 22 chilometri su 70, ma io non ne sarei così sicura. Il resto non è nemmeno finanziato, né è finanziabile, perché manca il piano industriale, e non si sa bene chi potrebbe entrare come socio».

Di sicuro, però, c’è che sarà il Pirellone a nominare i nuovi vertici di Serravalle, in scadenza a giugno 2014, con buona pace della Provincia e della futura Città metropolitana.

In attesa del decreto che dovrebbe chiarire il percorso attuativo del ddl Delrio, il futuro dell’autostrada, secondo Monaci, sarà gestito «dal Pirellone. Che intanto si prende Serravalle e nomina i nuovi vertici». Sarà gestito «da Maroni. Non lui direttamente, ma dai suoi uomini. Il suo sistema di lobbisti, tecnici e manager, che si occupano di questo… a tempo pieno».

Un’idea condivisa dal consigliere regionale Lucia Castellano, membro della V Commissione Territorio e Infrastrutture: «Quando penso alla Regione, non penso a Maroni leghista che la governa. Penso a tutto il potere costituito: Forza Italia, Nuovo Centro Destra, formigoniani… Un centro di potere incentrato sul fare, sul gestire. Sul “più cose ho, e meglio è”».

Insomma, il futuro incerto delle autostrade lombarde, il dopo-Expo delle infrastrutture promesse, ma che non saranno pronte nel 2015, starebbe quindi cominciando a prendere forma. Adesso, all’ombra del Pirellone.

Davide Gangale e Carlo Marsilli