La Polizia Scientifica porta via il feto rinvenuto in una cella frigorifera all'interno del dipartimento di biotecnologia dell'università Bicocca, Milano, 18 marzo 2013.  ANSA/ STEFANO

La Polizia Scientifica porta via il feto rinvenuto in una cella frigorifera all'interno del dipartimento di biotecnologia dell'università Bicocca (ANSA/ Stefano Porta)

La vicenda del feto ritrovato il 18 marzo all’Università Bicocca potrebbe essere meno misteriosa del previsto. Meno suspense e più burocrazia, con buona pace dei complottisti. All’origine del giallo, infatti, potrebbe esserci solo una storia di autorizzazioni negate.

Il colpo di scena arriva da oltre oceano, New Jersey. A smentire, per ora, le prime ipotesi degli investigatori sono state le dichiarazioni della scienziata Paola Leone, direttrice del Cell & Gene Therapy Center dell’Università di Medicina del New Jersey. Raggiunta a Newark dai giornalisti di Repubblica, la scienziata ha risposto con un cristallino: «so da dove arriva quel feto e come è finito lì».

Una storia che inizia, otto anni fa, nel Sud Italia. Una coppia, che ha già un figlio affetto dal morbo di Canavan e ridotto in stato vegetativo, decide di sottoporsi all’aborto terapeutico. E decide di contattare, subito dopo, la dottoressa, una delle maggiori esperte mondiali del morbo di Canavan, una rara malattia neurodegenerativa. Laurea in neuroscienza nel 1988 all’Università di Padova, la scienziata ha dedicato a questa malattia rara e tremenda i suoi studi e ben 13 pubblicazioni, l’ultima nel dicembre 2012.  «I genitori volevano donarlo alla ricerca, ma per motivi burocratici a me sconosciuti è stato impossibile portare quel feto in America», sintetizza Leone. Ecco perché sarebbe arrivato nel dipartimento di Biotecnologie della Bicocca. «È stato il padre a portarlo all’università, su mia indicazione. Chiesi al professor Vescovi di tenere il feto nel freezer del suo laboratorio, in via provvisoria», spiega Leone.

L’attesa è durata otto anni. Poi la scoperta, l’avvio delle indagini e l’ipotesi, formulata da Vescovi stesso, di un sabotaggio. «Temo non sia un caso che questo ritrovamento coincida con un trapianto di uno dei malati di Sla del primo gruppo» aveva dichiarato il professore. Gli studi di Angelo Vescovi, che ha sperimentato il trapianto di cellule staminali embrionali nel midollo di malati di sclerosi multipla (SLA), avevano infatti causato non pochi malumori nei comitati etici italiani.

Intanto, in seguito alle dichiarazioni di Paola Leone, l’università Bicocca ha fatto sapere, in un comunicato stampa del 20 marzo, che la dottoressa «non ha mai avuto alcun tipo di rapporto di lavoro, né dipendente né di collaborazione, con l’ateneo». E aggiungono: le indagini andranno avanti. Finita l’istruttoria degli inquirenti, entrerà in azione la commissione d’indagine interna dell’Università. Per fare luce su quella che, evidentemente, non sembra una storia ancora del tutto conclusa.

Susanna Combusti