Legaz

Le parole sono pietre. E quando fanno riferimento a concetti giuridici diventano un po’ più pesanti e bisogna prestare maggiore attenzione nello scagliarle. È questo il senso della sentenza con cui, il 22 febbraio, il Tribunale di Milano ha condannato la Lega Nord per aver affisso a Saronno alcuni manifesti in cui definiva «clandestini» 32 richiedenti asilo che avevano trovato accoglienza nel comune del Varesotto.

I fatti. Siamo nell’aprile scorso, in piena emergenza migranti. Col sistema di accoglienza al collasso, la Prefettura di Varese trova una cooperativa disposta ad accogliere 32 richiedenti asilo in un centro della Caritas ambrosiana a Saronno. Venuto a conoscenza del progetto, il sindaco leghista, Alessandro Fagioli, si mette di traverso, bloccando la decisione del prefetto: «I maschi africani vicino alle scuole non ce li vedo per niente bene. Sui profughi non ci sarà alcuna collaborazione, abbiamo già i nostri problemi». La sezione locale della Lega cavalca la protesta e tappezza la cittadina di manifesti. In tutto settanta il cui tenore va da «Saronno non vuole i clandestini» a «Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno 32 clandestini: vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni ed aumentano le tasse». Alla fine, sfruttando una serie di cavilli legali, il sindaco ha la meglio: il centro di accoglienza a Saronno non si farà e i profughi dovranno essere ricollocati in altri comuni più disponibili.

Il processo. Ma la storia non finisce qui. Due associazioni che si occupano di diritti dei migranti, il Naga (Associazione Volontaria di Assistenza Socio sanitaria e per i Diritti di Cittadini stranieri, Rom e Sinti) e l’Asgi (Associazioni degli Studi Giuridici sull’Immigrazione) si rivolgono al tribunale di Milano, chiedendo un risarcimento al Carroccio. Sostengono che i manifesti affissi a Saronno abbiano violato la legge che vieta di discriminare in base all’etnia o a alla nazionalità. Per gli avvocati della Lega, invece, dare del clandestino a un richiedente asilo non è discriminazione, ma «critica politica», per di più sdoganata dal linguaggio comune. E, in ogni caso, c’è da considerare l’articolo 21 della Costituzione che protegge la libertà di espressione in tutte le sue forme, anche in quella di un manifesto giuridicamente sbagliato.

La decisione. Il giudice Martina Flamini non ha accolto la difesa della Lega Nord: i termini “clandestino”, “migrante” e “richiedente asilo” non sono sinonimi, neanche nel linguaggio comune. Dal 2009, infatti, la clandestinità, ossia l’ingresso irregolare in Italia, è un reato –  e i leghisti dovrebbero saperlo bene dato che a introdurlo fu l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni. Stando così le cose, secondo il tribunale di Milano, è discriminatorio bollare come clandestino chi, scappando da persecuzioni e guerre, chiede asilo in Italia. Che sia per leggerezza o per calcolo politico, è vietato confondere i concetti, perché la parola clandestino «veicola l’idea fortemente negativa che i richiedenti asilo costituiscano un pericolo per i cittadini ed è idonea creare un clima intimidatorio ed ostile». Né si può fare appello alla libertà di espressione che non comprende la libertà di discriminare. Ora, la Lega Nord dovrà pagare diecimila euro di risarcimento alle due associazioni e pubblicare a sue spese la sentenza sul quotidiano locale Il Saronno e soprattutto sul Corriere, per di più con caratteri doppi rispetto a quelli usati normalmente dai due giornali. Ma non basta. La decisione dovrà comparire anche sulla home page del sito della Lega Nord: un manifesto virtuale, per evitare future confusioni fra clandestini e profughi.

Qui il testo della sentenza