Di cibo si parla quando c’è, più raramente quando non c’è. Invece il laboratorio Culture dell’alimentazione tra inclusione ed esclusione partirà proprio da qui, la mancanza di cibo. «Il primo caso che affronteremo è quello della carestia in Niger, nel 2006», spiega Mauro Van Aken, ricercatore del dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Bicocca di Milano.
Il workshop si terrà giovedì mattina, 5 dicembre, all’Università Statale, in via Festa del Perdono. Sarà uno dei momenti di riflessione di “Laboratorio Expo”, il progetto organizzato dalla Fondazione Feltrinelli con l’obiettivo di aprire un dibattito internazionale sui vari aspetti legati ai temi di Expo2015.
«Partendo dal caso del Niger rifletteremo su cosa per noi è cibo e cosa è carestia», prosegue Van Aken. Due condizioni che vengono definite in modo diverso a seconda delle culture. «La vicenda del Niger fece emergere una forte discrepanza tra la concezione occidentale di carestia e quella invece della cultura africana. Per noi era uno stato di emergenza, per loro piuttosto l’ordinarietà». Un anno prima un’ondata di cavallette aveva devastato i raccolti del Paese, già colpito dalla siccità.
Il laboratorio del 5 dicembre, coordinato dal professore di antropologia Ugo Fabietti, indagherà il cibo nelle sue sfaccettature antropologiche: dal valore della commensalità al rapporto con il territorio, dal ruolo di “culla identitaria” a quello di unione e divisione, passando dalla pratica del cannibalismo ai disturbi nutrizionali.
«Ci sono diversi modi d’intendere il cibo, che non è soltanto pratica alimentare. È anche patrimonio, rituale, simbolo e prodotto agricolo, quelle che noi chiamiamo agricolture», puntializza Van Aken.
Compito dei seminari, che saranno in totale quattro e si succederanno da qui al 2015, sarà esplorare tutti i significati della parola cibo. Toccando diverse culture e tradizioni, dalla Lombardia all’India. Perché, per dirla con Claude Lévi-Strauss, «ciò che buono da mangiare è buono da pensare».
Stefania Cicco
Susanna Combusti