E dopo 79 si arriverà a 80. Tanti sono stati gli ordini di sgombero per lo storico centro sociale Leoncavallo di Milano. Il 12 giugno l’ufficiale giudiziario busserà alle porte dell’ex cartiera di via Watteau per consegnare l’avviso di sfratto agli occupanti, che da 23 anni fanno discutere la città. Ma che l’operazione vada a buon fine è tutto da vedere. Come insegna la lunga storia di questa vicenda, spesso non basta l’ordine di un giudice per “liberare” un luogo occupato.

I leoncavallini, infatti, non sembrano credere che questa sia la vera fine dalla loro storia. Tanto che hanno già pianificato una cena per il 15 giugno, un concerto di musica blues per il 16, e addirittura un festival di erotismo per  il 17. Il tutto ancora nella sede dello “Spazio pubblico autogestito” di via Watteau, così autodefinito a partire dal 2000, rottamando la vecchia e malvista etichetta di “centro sociale”. Ma a conservare il vecchio nome, con tutto il misto di diffidenza e fastidio che questo ancora provoca nella borghesia milanese, sono i fratelli Cabassi, proprietari dell’ex cartiera occupata abusivamente dall’8 settembre 1994.

L’ex cartiera di via Watteau, sede del Leoncavallo

«Se anche stavolta non ci sarà la forza pubblica, non ci resterà che attivare azioni legali per ottenere lo sgombero” dice Matteo Cabassi a la Repubblica “dopo tre sentenze che prevedono la restituzione ai proprietari, il mancato intervento è un’omissione». La verità è che il 12 giugno l’ufficiale giudiziario si presenterà alle porte di via Watteau 7 con l’ordine di sgombero, ma è molto probabile che se ne tornerà in tribunale con un’ulteriore proroga, come è avvenuto lo scorso 15 maggio, e come è avvenuto per 79 volte in ventitré anni di occupazione. L’unico a riuscire a sgomberare il Leoncavallo fu nel 1994 il sindaco leghista Marco Formentini, che provocò lo spostamento degli occupanti dalla sede originaria, in via Leoncavallo, all’attuale spazio di via Watteau. Prima c’era stato solo il timido tentativo di Paolo Pillitteri. Era il 1989, ma quella fabbrica dismessa di prodotti farmaceutici rimase vuota solo per pochi giorni prima di tornare ad essere occupata.

Leoncavallo: un’opera di Zed1 su via Watteau

Da via Leoncavallo a via Watteau, passando per un breve periodo di tempo in una fabbrica dimessa di via Salomone, il Leoncavallo è sempre stato una realtà di aggregazione sociale ma anche di produzione culturale, che qualcuno ha tentato di ufficializzare e canonizzare. Risale al 2006 la visita di Vittorio Sgarbi, allora assessore alla cultura della giunta Moratti, che in quell’occasione definì i murales dell’ex cartiera la «Cappella Sistina della contemporaneità. Un luogo d’arte permanente da visitare come il Pac, la Triennale, Palazzo Reale». E quella di Sgarbi non era solo una provocazione: il Leoncavallo fu inserito nella programmazione della “Giornata del Contemporaneo” e i suoi murales diventarono oggetto di un catalogo per la casa editrice Skira: I graffiti del Leoncavallo.

Ma il bilancio di 23 anni di occupazione per i fratelli Cabassi è soprattutto una perdita economica, a cui nessuna giunta comunale ha finora dato risposta: «Il Comune è inadempiente da sempre. Ad eccezione della giunta Formentini, tutte le altre erano favorevoli, a parole, ad una soluzione. L’approccio era diverso: per il centrodestra era questione di ordine pubblico; il centrosinistra vuole “integrare” il Leoncavallo». Con il sindaco Giuliano Pisapia nel 2011 si arrivò a un passo da un accordo: l’edificio in via Watteau sarebbe diventato comunale e  i leoncavallini avrebbero dovuto pagare 500 mila euro annuali di affitto al Comune. In cambio i fratelli Cabassi avrebbero ricevuto un edificio pubblico di pari valore. Nulla se ne fece per l’opposizione all’ultimo del Leoncavallo. Anche la giunta attuale non sembra avere una risposta:«Sala in campagna elettorale ha sostenuto di voler risolvere la questione”, ma il tempo è scaduto per i fratelli Cabassi. Se lo sgombero del 12 giugno sarà ancora un nulla di fatto, un ennesimo rinvio impotente, loro ricorreranno alle vie penali, «a meno che la proprietà non riceva una proposta alternativa concreta ed economicamente equivalente».

Da una parte uno spazio privato occupato che crea aggregazione sociale e produce cultura, continuamente gravato dalla possibilità di uno sfratto, dall’altro le legittime rivendicazioni dei proprietari dello spazio. In mezzo il Comune che fino ad ora non è riuscito a trovare una conciliazione tra le pari. L’unico ad uscirne con una buona immagine sembra lui, Ruggero Leoncavallo, compositore napoletano che nel capoluogo lombardo avrebbe immaginato di essere ricordato per altro, per esempio la sua opera verista Pagliacci, rappresentata per la prima volta il 21 maggio 1892 al Teatro Dal Verme, sotto la direzione di Arturo Toscanini. Invece la toponomastica ha voluto che il suo nome comparisse periodicamente sui quotidiani anche a più di cent’anni di distanza, e non in Terza pagina.