Un aiuto concreto può fare tanto. Ma da solo serve a poco. A volte, solo a lavare la coscienza dei Paesi occidentali nei confronti di quelli meno sviluppati. A volte, persino a peggiorare le cose. A spiegare le delicate dinamiche dell’aiuto umanitario per le zone dove il cibo scarseggia è Jean-Pierre Olivier de Sardan, antropologo francese che sarà presente giovedì 5 dicembre a “Laboratorio Expo”.
«Le istituzioni che si occupano di aiuti alimentari, con l’intento di arrivare a soluzioni immediate, portano con sé altri problemi, sia perché creano una sorta di dipendenza dagli aiuti, sia perché non portano solo grano, riso o denaro. Portano sistemi e regole molto spesso in contraddizione con quelle locali», spiega Olivier de Sardan nel suo lavoro “La manna e i fraintendimenti: le carestie e l’aiuto alimentare in Africa”.
Nel corso della sua carriera, l’antropologo francese ha studiato il cambiamento sociale e lo sviluppo delle società africane lavorando in Benin, Mali e Niger. È uno dei massimi conoscitori dei Wogo, una popolazione nigeriana cui ha dedicato numerose pubblicazioni. Dopo uno studio etnografico della società su piccola scala, Olivier de Sardan è passato ad analizzare come le influenze occidentali interagiscono con questi gruppi, in particolare quando portano alla realizzazione di servizi pubblici e collettivi e concreti aiuti allo sviluppo.
Approfondendo questo tema, è arrivato a delineare una nuova branca dell’antropologia, la cosiddetta “antropologia dello sviluppo” che si occupa proprio delle trasformazioni sociali e istituzionali indotte dalle politiche di aiuto, le opportunità di crescita ma anche le minacce che derivano da questa particolare forma di interazione tra Nord e Sud del mondo.
Maria Elena Zanini