«Sono la comprensione profonda dei fenomeni e il desiderio di creare una rete umana a dover guidare i giornalisti». L’Arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini ha rivolto questo appello a noi, studenti della scuola di giornalismo, all’incontro Il futuro dell’informazione sabato 26 gennaio. I praticanti delle tre Scuole di giornalismo di Milano, Walter Tobagi, Università Cattolica e Iulm, hanno infatti partecipato al dialogo sul futuro della professione nel giorno del patrono dei giornalisti, san Francesco di Sales. Nella sala Barozzi dell’Istituto dei Ciechi di Milano erano stati invitati, per la tavola rotonda, anche i rappresentanti delle tre Scuole di giornalismo: Claudio Lindner, vicedirettore della Walter Tobagi, Marco Lombardi, direttore della Scuola di giornalismo della Cattolica, e Ugo Savoia, coordinatore didattico del master della Iulm. Gli interlocutori, insieme al direttore del dipartimento di Scienze della Comunicazione della Cattolica Fausto Colombo, hanno discusso dei rischi del giornalismo 2.0 e delle possibili soluzioni.
Il giornalismo e la rete – La prima, forse principale preoccupazione, è rivolta al mondo del giornalismo online: se la rete e i social network rappresentano infatti un’opportunità per la diffusione democratica dell’informazione, sono anche una costante fonte di preoccupazione. Con questo pensiero il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Alessandro Galimberti, ha inaugurato la discussione, contrapponendo alla dispersività e alienazione della comunicazione istantanea un percorso per «scoprire, capire e proporre una lettura dei fatti». Lombardi ha ricordato però che gli strumenti dei giornalisti non sono ancora in grado di contrapporsi al flusso di fake news, che inonda la rete e confonde i lettori. La riflessione è stata condivisa anche da Colombo, che ha intavolato un dialogo sui rischi e i benefici della rete, indicando tre sfide in atto: le tecnologie, che alleggeriscono la sostanza ma regalano più opportunità tecniche, la fragile economia del nuovo giornalismo e l’abuso del concetto di “notiziabilità”. A queste, anticipando le domande di alcuni studenti, ha proposto di rispondere con le caratteristiche più autentiche della professione: curiosità, consapevolezza del proprio ruolo e umiltà.
Ruolo civile – Un modo di fare comunicazione che «favorisca l’intesa, e faccia apprezzare l’informazione come un bene comune». Questo il metodo, secondo il monsignore, per la costruzione di un giornalismo come servizio, dipendente solo dai fatti. L’Arcivescovo ha sottolineato l’importanza delle Scuole di giornalismo proprio per colmare la carenza di strumenti di comprensione alla base di una comunicazione «che crea nemici», con cui ha portato l’esempio dei profughi come di «un capro espiatorio di un’informazione debole e che non ricerca la verità». Lindner ha per questo auspicato, nel suo intervento, un maggiore controllo delle notizie e un recupero della fiducia dei lettori, ostacolato da un clima politico ostile e dalla bassa alfabetizzazione del Paese. Starebbe proprio ai lettori partecipare a un nuovo giornalismo dal basso, ha concluso, sia in termini di conoscenze sia di contributi, che destabilizzi l’oligopolio dell’informazione.
Made in Italy – Anche rispondendo alle affermazioni di Ugo Savoia sulla deriva della categoria giornalistica e della comunicazione professionale, monsignor Delpini ha suggerito infine la creazione di un Made in Italy dell’informazione: un prodotto fatto bene e che si faccia riconoscere in tutto il mondo come l’artigianato italiano. Così, con la laboriosità tipica delle zone che gravitano intorno a Milano, i giovani giornalisti possono creare un marchio di prestigio e che risponda alle nuove sfide.