54348 L’interruzione chimica di gravidanza? Di fatto in Lombardia non è possibile in un ospedale su due. L’utilizzo della pillola Ru486 è consentito dalla legge, ma negato nella pratica. Su 61 strutture dove si esegue l’aborto, 30 non prevedono la pillola. Tra queste, anche poli scientifici prestigiosi come il San Gerardo di Monza e Varese.

La colpa è soprattutto delle troppe obiezioni di coscienza dei medici, ma anche le esigenze di bilancio giocano un ruolo importante. Il gruppo del Pd in consiglio regionale ha calcolato il numero di ginecologi obiettori in ogni ospedale della Lombardia. Solo in otto strutture il tasso di obiezione è inferiore al 50 per cento. E sui servizi offerti incidono anche i costi: “Perché la metà degli ospedali non usa la Ru486?”, commenta il direttore sanitario della clinica Mangiagalli di Milano Basilio Tisi, “soprattutto per problemi organizzativi: la donna deve rimanere ricoverata per tre giorni contro il day hospital di uno solo dell’interruzione di gravidanza chirurgica. Ma non si possono escludere motivi ideologici”.

In Lombardia le astensioni per motivi etici non sono limitate all’uso della pillola Ru486. Resta alta, al 68,4%, l’obiezione di coscienza dei ginecologi che scelgono di non effettuare del tutto gli aborti, siano essi chimici o chirurgici. Ma è sull’utilizzo della pillola che il confronto con le altre regioni del nord diventa impietoso: in Lombardia la percentuale di aborti con la Ru486 è al 4,6 per cento, contro il 30,5 per cento della Liguria, il 27 per cento della Valle d’Aosta. Piemonte ed Emilia Romagna superano il 20 per cento. A Milano ci sono cliniche, come la Mangiagalli, in cui le prestazioni sono garantite, mentre fuori dal capoluogo è ancora più difficile ricevere la Ru486. In sette strutture gli obiettori sono il cento per cento: si tratta dei presidi di Broni Stradella, Gallarate, Melzo, Oglio Po, San Giovanni Bianco, Iseo e Gavardo.
Il quadro peggiora ulteriormente se si considerano solo le cliniche private. Sarebbero “del tutto fuorilegge”, secondo i consiglieri Pd Sara Valmaggi e Enrico Brambilla, dato che di fatto “nessuna pratica interruzioni volontarie di gravidanza, nonostante la legge 194 lo preveda”.

Una situazione che provoca disagi alle pazienti e mette a rischio il diritto sancito dalla legge 194. E che ha costi elevati per le finanze pubbliche. Per poter adempiere agli obblighi di legge, gli ospedali sono costretti a chiamare medici pagati a prestazione, per sostituire quelli già assunti che si astengono dal praticare aborti. Il conto per il Pirellone è salato: 250mila euro all’anno.

Simone Gorla