«È stato uno di quei miracoli che ogni tanto succedono. Il ragazzo si è trovato molto bene in classe, ha comunicato bene con i compagni e ha passato l’esame di terza media». Alessandra Minerbi è la vicepreside dell’istituto comprensivo Di Vona-Speri di Milano. Il quartiere – Loreto – è uno dei più multietnici della città, e di conseguenza lo è anche la scuola. Su 1200 studenti, alle elementari il 50 per cento è di origine straniera, alle medie il 30 per cento. I Paesi di provenienza sono soprattutto Filippine, Egitto e Perù. Inserire questi ragazzi nelle classi, magari anche a pochi mesi dalla fine dell’anno scolastico, non è facile. «Questo ragazzo è stato l’ultimo che abbiamo inserito. Lui ha 15 anni: all’inizio abbiamo cercato di mandarlo in una scuola superiore professionale, ma poi abbiamo capito che sarebbe stato un azzardo. Così l’abbiamo messo in una terza media e gli abbiamo fatto fare l’esame con una mediatrice culturale. Al contrario la sorella, arrivata in Italia due mesi prima di lui, non è per niente integrata in classe».
I dati – Gli studenti stranieri presenti in Italia sono 814.851 (il 9,2% del totale). Lo riporta il XXVI Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes dal titolo Nuove generazioni a confronto, presentato il 22 giugno 2017 a Milano. La Lombardia è la regione con il più alto numero di studenti stranieri (203.979, in prevalenza romeni, albanesi, marocchini, cinesi e filippini), circa un quarto di quelli totali in Italia (25%), in aumento in tutti i livelli (elementari, medie e superiori). Le province lombarde con il maggior numero di stranieri in valori assoluti sono Milano (81.977), Brescia (32.739) e Bergamo (25.214). Milano è anche la prima provincia in tutta Italia.
I nuovi arrivati – Alle medie Di Vona-Speri i Nai, ovvero i bambini arrivati in Italia da meno di due anni, sono 9. «Con loro le materie classiche sono la sfida più complessa. Una sfida che la scuola è in parte attrezzata ad affrontare e in parte no», continua la vicepreside Minerbi. Nonostante questo, quattro Nai hanno appena superato l’esame di terza media. Un esame “facilitato”, senza la prova scritta della seconda lingua comunitaria (francese, spagnolo o tedesco), che viene sostituita con un compito di italiano. La prova Invalsi, invece, rimane uguale per tutti («Ed è un 4 fisso», spiega la professoressa). Un altro problema da affrontare con i Nai è la classe in cui inserirli. «La legge impone di inserirli in linea di massima nella classe che corrisponde alla loro fascia d’età, al massimo un anno prima o un anno dopo», continua la vicepreside Minerbi. «Metterli tra i coetanei è sensato per la loro crescita. Ad esempio, in una prima media, quest’anno, avevo una ragazzina rumena che è nettamente più grande dei compagni, fisicamente e di testa, soprattutto per la situazione che vive in casa. È avanti almeno tre anni rispetto agli altri. A quest’età il salto una classe e l’altra è notevole».
La scelta delle superiori – Dal Rapporto Caritas emerge che gli studenti non italiani, una volta terminate le medie, scelgono più frequentemente gli istituti tecnici o professionali rispetto ai compagni italiani che preferiscono i licei. In Lombardia, il 78 per cento degli studenti con cittadinanza non italiana ha scelto, lo scorso anno, istituti tecnici o professionali. Da un lato, secondo il rapporto, questo sta portando a un miglioramento dell’offerta degli istituti professionali, dal momento che il profilo, la motivazione e l’atteggiamento degli studenti stranieri sembra essere più positivo e dimostra più impegno rispetto agli italiani. Dall’altro, come sottolinea Minerbi, spesso gli studenti stranieri avrebbero capacità e aspirazioni compatibili con la scelta del liceo ma queste vengono sottovalutate o non incoraggiate dal sistema scolastico. «In certi casi è una scelta della famiglia, perché c’è bisogno che i figli lavorino presto. Ma non sempre è così», continua la vicepreside. «Anche perché spesso le famiglie straniere vengono in Italia pensando di garantire ai propri figli non soltanto un lavoro, ma anche un corso di studi superiore e universitario».
di Manuela Gatti e Ambra Orengo