Un Picasso del valore di circa 11 milioni e mezzo di euro. Sospeso tra New York, Milano, Napoli e la Svizzera. E’ la storia del quadro “Compotier et tasse”, dipinto nel 1909. Una storia che nella serata del 26 giugno si è arricchita di un nuovo particolare: il sequestro a New York da parte del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Milano, prima che il dipinto fosse venduto all’asta.
Secondo l’accusa, il quadro sarebbe stato acquistato con proventi illeciti da Gabriella Amati, amministratore della società Aip, Agenzia italiana pubblicità. L’Aip, dichiarata fallita nel 2009, era incaricata della liquidazione, dell’accertamento e della riscossione di tributi e altre entrate per alcuni enti locali, tra i quali il Comune di Napoli. Gli amministratori della società, l’Amati e il suo socio Angelo Maj, morto nel 2012, erano finiti già nel giugno del 2011 al centro di una vicenda giudiziaria per peculato. Stando alle indagini, tra il 2005 e il 2009 avevano “continuato a ricevere, sul proprio conto corrente postale, i contributi erroneamente versati dai contribuenti, in buona fede”, nonostante “non si occupassero più della riscossione dei tributi” per conto del Comune di Napoli. Una frode da circa 40 milioni di euro, finiti nella società poi svuotata e portata in bancarotta.
Proprio parte di questi soldi potrebbero essere serviti a Gabriella Amati per acquistare l’olio su tela di Picasso, sulle cui tracce già da settembre 2012 si erano messi gli investigatori della Gdf di Milano. Un inseguimento che li aveva portati dapprima in Svizzera, dove l’opera era stata momentaneamente depositata, e che si è concluso in una casa d’aste newyorchese appena prima che venisse battuta all’asta.
Dopo la rogatoria avviata dai pm Sergio Spadaro e Stefano Civardi negli Usa, il quadro del padre del Cubismo si appresta a tornare in Italia sotto sequestro preventivo della magistratura. In caso di confisca, un nuovo capolavoro entrerà nel patrimonio dello Stato.
Francesco Loiacono