Un calcio a un pallone per ricordarsi di essere madri, padri e figli. Torna la Partita con mamma e papà, una giornata in cui i genitori che si trovano in carcere possono giocare insieme ai bambini fuori dalle aree riservate ai colloqui. Ogni istituto di pena che aderisce sceglie come organizzare l’incontro sportivo in base agli spazi e alle forze che ha. Nelle carceri più strutturate, si corre in un vero campo da calcio all’aperto per sei ore e si pranza insieme. In altri casi, ci si accontenta di un campetto al chiuso o di un calcio balilla. Scopo della giornata è garantire un diritto sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, quello al «mantenimento del legame tra bambino e genitore detenuto».

La partita – Nata otto anni fa per iniziativa di Bambini senza sbarre, la Partita con mamma e papà è presente in quasi tutte le carceri d’Italia e supportata dal Ministero della Giustizia. Si inserisce nella campagna annuale Carceri aperte, che consente agli organi di stampa di visitare le strutture ed effettuare interviste, anche video, ai detenuti e ai loro familiari. «I miei figli sono emozionatissimi, si preparano diversi giorni prima», racconta a La Sestina Maria (il nome è di fantasia, come tutti gli altri), moglie di un detenuto del carcere di Bollate. «Usciamo col sorriso stampato perché è una bellissima giornata, un modo per i figli di riallacciare il rapporto con papà che vedono poco. Un po’ di malinconia c’è sempre alla fine, perché una giornata così chissà quando la rifai», commenta Paola, che ha accompagnato sua figlia a vedere il padre. Prima di scendere in campo, i detenuti vengono selezionati in modo da evitare l’insorgere di possibili conflitti. Poi si trascorre tutta la giornata all’aperto. Non si tratta di una partita di 90 minuti, ma di passaggi di palla e tiri in porta. Quasi sempre, a essere stracciati sono i genitori. «Quando finisce tutto e si ritorna dentro, senti una tempesta di emozioni dentro, perché hai trascorso un bel po’ di ore che non sei più abituato a vivere», dice a La Sestina Aldo, uno dei detenuti presenti all’incontro al carcere di Bollate.
«Quando c’è il momento dei saluti c’è un vuoto, però poi almeno la sera quando sei coi tuoi pensieri sai di aver vissuto sei ore in allegria con la tua famiglia, con la tua bambina», racconta Giuseppe.

L’iniziativa – Sono 81 le partite giocate quest’anno in tutta Italia. Una sola in un carcere femminile, a Roma Rebibbia, dove sono le mamme detenute e non i papà a scendere in campo con i figli. In un contesto in cui i bambini crescono con uno stigma senza volerlo, l’idea è di fare un passo avanti verso l’inclusione e l’abbattimento dei pregiudizi che spesso ricadono sui figli di persone detenute. «C’è ancora tanto da lavorare sul sovraffollamento e sulla tutela del rapporto genitoriale, ma momenti come la Partita con mamma e papà riescono a rendere meno drammatico l’ingresso in carcere dei bambini per garantire un rapporto con i loro genitori», dice a La Sestina il consigliere comunale di Milano Alessandro Giugni, presente alla partita del carcere di Bollate in quanto vicepresidente della sottocommissione carceri. Sul modello dell’iniziativa italiana, la partita è stata introdotta anche nel resto dell’Unione europea, dove sono circa 2,2 milioni i minori che hanno la mamma o il papà in carcere. Da quest’anno, la rete Children of prisoners Europe (Cope), che tutela i rapporti tra i detenuti e i loro figli in Ue ed è legata a Bambini senza sbarre, ha introdotto la partita senza sbarre anche nelle carceri europee. «La possibilità di giocare una partita di calcio con la mamma o il papà è una cosa normale per la maggior parte dei bambini. Ma è eccezionale per i bambini con un genitore in stato di detenzione in Europa. Rimarrà nei loro ricordi per molto tempo», riporta il Cope.

I colloqui – In Italia sono circa centomila i bambini con una madre o un padre in prigione. Gli incontri dei detenuti con la famiglia normalmente avvengono negli spazi riservati ai colloqui. Spesso, ma non sempre, questi luoghi contengono alcuni dettagli a misura di bambino, come tavolini e sedie colorati o giochi. Tuttavia rimangono per lo più stanze vicine alle aree in cui gli adulti si incontrano tra loro, e quindi mantengono un aspetto detentivo. Per preparare i bambini all’impatto con il carcere, ma anche per aiutare le famiglie a gestire la relazione genitoriale in un penitenziario, da tempo esiste lo Spazio giallo. Fisicamente è una sala d’attesa con le pareti gialle, in cui i bambini giocano aspettando di andare a colloquio. Intorno però c’è un percorso, fatto dalle famiglie che aderiscono, dal carcere e dagli operatori (psicologi, educatori, pedagogisti), che formano genitori e figli per limitare al minimo i possibili traumi. In questo quadro si inserisce la partita, promossa annualmente nel mese di giugno.