«Sono davvero contento perché oggi si è messa fine a un’ingiustizia durata quattro anni e mezzo». Appena uscito dall’aula del tribunale di Monza Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano, non ha nascosto l’emozione per la sentenza della sua assoluzione. E così, dopo avere abbracciato il suo avvocato difensore, Matteo Calori, Penati ha potuto tirare un sospiro di sollievo: per lui il pm Franca Macchia aveva infatti chiesto quattro anni di carcere, con le accuse di corruzione e finanziamento illecito ai partiti. «In questi anni – prosegue – ho avuto a cuore l’obbiettivo di rimettere a posto la mia onorabilità davanti all’opinione pubblica. Non sono corrotto, ma vittima di una grande ingiustizia». Rimane però un tasto dolente, che è quello del rapporto con il partito: mentre Pierluigi Bersani twitta “Assolto Penati. Io non ho mai dubitato. Ma quanto sono lunghi quattro anni?”, l’ex dirigente Pd afferma ironico: «I miei colleghi di partito mi hanno voluto molto bene». E a chi gli ha chiesto se dopo quattro anni di dimissioni tornerà a fare politica ha risposto «Ora vado a casa».

Contentezza espressa anche dal grande accusatore di Penati, l’imprenditore Piero Di Caterina, a sua volta condannato dal pm a due anni di reclusione con l’accusa di corruzione, ma oggi assolto. «È stata una sentenza di grande soddisfazione – ha detto – che ha confermato che il sistema Sesto esiste e che le mie accuse sulla mala gestione del sistema di trasporto pubblico milanese erano fondate». E se anche Penati lo porterà in giudizio per le accuse mossegli, Di Caterina si chiede «Per cosa? Dire che una persona ti deve ridare dei soldi che hai prestato è una accusa pesante? Io penso che sia più un fatto civilistico».

Chi invece esce dalla sentenza con un’amara soddisfazione è Renato Sarno, l’architetto che nel 2011 ha scontato cinque mesi di carcere con l’accusa di concussione. Ma che oggi, a quattro anni di distanza, si è visto riconoscere l’assoluzione per mancanza di prove: «Sono contento della sentenza – ha detto – ma avrei preferito che a questo risultato si fosse giunti prima. Per non contare il processo, che ha danneggiato me, la mia famiglia e i miei collaboratori dal punto di vista professionale e umano. Non è giusto».

Clara Amodeo