Alessandro Cozzi in un fotogramma della trasmissione “Diario di famiglia” di cui era conduttore su Rai Educational

«È difficile avere la certezza sul come sia morto». La dottoressa Cristina Cattaneo, professore ordinario in Medicina legale dell’Università degli studi di Milano (nota alle cronache nazionali per le autopsie sui corpi dei migranti morti nel naufragio del 18 aprile 2015), chiamata a deporre durante la quinta udienza del processo ad Alessandro Cozzi (qui tutto quello che c’è da sapere), non riesce a dare risposte certe sulla dinamica della morte di Alfredo Capelletti.

Incertezza – «Dal momento che il coltello è stato estratto dal corpo, l’ipotesi omicidio appare più facilmente dimostrabile, perché si pensa che quando uno si conficca un coltello nel torace poi non abbia la forza di estrarlo. In realtà la letteratura medica cita casi in cui una persona si è tolta la vita accoltellandosi più volte di seguito», spiega la dottoressa Cattaneo, chiamata a valutare la verosimiglianza dell’ipotesi suicidiaria per la morte di Capelletti. «Non è possibile fare una diagnosi certa con solo gli elementi medico-legali, ma ci sono elementi suggestivi della difficoltà dell’ipotesi suicidiaria», continua la dottoressa. In altre parole, non si può essere certi né che sia stato un suicidio né che sia stato un omicidio. Ma ci sarebbero alcuni dettagli sul corpo della vittima che renderebbero più probabile la seconda ipotesi.

Gli elementi – «I suicidi di solito hanno i cosiddetti “segni di assaggio”. Tendono a pungersi con il coltello per vedere se fa male, per capire in che punto del corpo conficcare l’arma. Sul corpo si notano queste lesioni. Poi di solito si pugnalano senza indumenti addosso. È una tendenza, non una regola. Ricordo che il Capelletti aveva addirittura gli occhiali da lettura al collo, oltre che la camicia e il maglione, e che non aveva “segni di assaggio” sul torace», spiega Cristina Cattaneo nell’aula della Corte d’Assise, presieduta dai magistrati Giovanna Ichino e llaria Simi de Burgis. «C’erano anche un taglio sulla mano destra e un’abrasione compatibile con il “trascinamento” di una lama sul braccio destro. Nelle persone aggredite spesso ci sono lesioni da difesa sia alla mano che all’avambraccio. A mio avviso è più probabile che sia stata una terza persona ad accoltellare Alfredo Capelletti, piuttosto che si sia trattato di un suicidio», conclude Cattaneo.

La famiglia – In aula era presente, come nelle precedenti udienze, l’imputato Alessandro Cozzi, scortato dalle guardie carcerarie perché attualmente detenuto nel carcere di Monza per un altro delitto. Seduti c’erano anche la famiglia della vittima: la vedova di Capelletti, Maria Pia Beneggi, e i loro due figli, Elisabetta e Alessandro Capelletti, che in un momento di pausa ha affermato: «Per noi è difficile rivangare ogni volta la vicenda. Le foto della scientifica le abbiamo viste per la prima volta qui in aula. Ma andiamo avanti. E speriamo».

I teste – Numerose sono state le deposizioni all’udienza del 15 maggio. La corte ha ascoltato la dottoressa Maria Sessa, che ha confermato «la parestesia alla mano destra e l’ipostemia» di Capelletti dopo l’attacco ischemico pochi mesi prima della morte, ovvero un «disturbo della sensibilità oggettivo, la percezione di sentire male o le formichine alla mano; l’ipostemia è invece la mancanza di forza». Sono stati ascoltati poi i coniugi Tiziano Collinetti e Alessandra Boscolo, amici di famiglia della vittima, che hanno ricordato i momenti subito precedenti e seguenti la morte del Capelletti.

La moglie – Più concitata la deposizione di Graziella Segat, moglie dell’imputato, che ha rinunciato alla facoltà di non rispondere. Ripetutamente chiamata all’obbligo di dire la verità e a non comunicare gestualmente col marito dal presidente della Corte, Segat non ha saputo giustificare la incongruenze tra il suo racconto di quel 13 settembre 1998 e i tabulati telefonici e le relative intercettazioni mostrate dal pm e dall’avvocato della famiglia della vittima. «Non ho sentito mio marito quel pomeriggio», ha affermato Segat. Sarebbero tre, invece, le chiamate registrate.