Gli spazi vuoti esistono anche se non si vedono. Milano è piena: oltre 3 milioni e mezzo di metri quadri inutilizzati, dismessi e abbandonati. Che fine fanno? Nessuno se ne occupa, nessuno li vede. La burocrazia li ingabbia. Eppure c’è anche chi cerca di invertire la tendenza pensando a riempire i vuoti.

«Quando i nostri progetti funzionano capita anche che l’assessore di un piccolo comune possa andare a fare yoga in quello che fino a qualche tempo fa era un palazzo vuoto nel centro storico, cui abbiamo ridato vita insieme all’amministrazione». Matteo Persichino fa quest’esempio per spiegare l’obiettivo del riuso temporaneo degli spazi urbani inattivi. Lui insieme a Giulia Cantaluppi, Isabella Inti e Carlo Gallelli ha fondato nel 2008 l’associazione no profit Temporiuso proprio per portare in Italia, e soprattutto a Milano, un nuovo modo di rapportarsi al territorio.

Riuso temporaneo – Tutto parte da spazi inutilizzati. A Milano sono tantissimi gli scali ferroviari abbandonati, le ex fabbriche e i palazzi in disuso. L’associazione li mappa e li mette a disposizione dei cittadini e delle amministrazioni. L’idea è tenerli in vita con attività temporanee, colmando il vuoto che intercorre fra un utilizzo e l’altro. Alcune di queste diventano permanenti. In alcuni casi, invece, rappresentano una fase di accompagnamento a un nuovo proprietario o affittuario. «Per esempio, a Sesto San Giovanni dal 2010 abbiamo seguito le ex fabbriche Falck. C’era una grande richiesta di sedi da parte di designer e artigiani, soprattutto alle prime armi, e gli abbiamo messo a disposizione una parte degli ex spazi industriali. Poi è subentrata una scuola professionale che ora ha sede lì».

Fra città grandi e piccole – «Poiché Milano è una città grande con molto spazio vuoto, cerchiamo di partire da piccole fasi sostenibili». A Temporiuso hanno iniziato mappando i nove municipi con dei giri in bicicletta insieme ai cittadini per individuare gli edifici da qualificare, tre per zona. Poi c’è stata una votazione per far esprimere agli abitanti le loro preferenze su quale edificio riqualificare e da lì è stato dato il via a tre progetti. L’intervento è su scale differenti a livello di investimenti e spazi. «Quando si tratta di piccoli comuni è più semplice perché tutti si sentono coinvolti nel riattivare il centro storico e alcuni dei suoi palazzi dimenticati. In città grandi la visione è privatistica, i proprietari pensano al ritorno economico e alcuni palazzi rimangono inutilizzati perché i prezzi restano fermi ai livelli pre-crisi 2008».

Italia e estero – Il problema più grande spesso è convincere i proprietari che l’idea della rigenerazione urbana ha effetti concreti e positivi su tutti. «Vedere un cartello con scritto affittasi su uno spazio impolverato e chiuso da anni è poco appetibile. Viceversa, se ci sono attività che lo mantengono vivo, e si occupano anche della manutenzione, anche l’investitore sarà più facilmente attratto». All’estero l’hanno già capito: ad Amsterdam, per esempio, il processo è stato totalmente istituzionalizzato con un ufficio comunale dedicato e un database aggiornato.

Una cultura difficile da importare: «In Italia parliamo un linguaggio nuovo. L’idea di riuso urbano è già avviata all’estero ma qui ancora non fa parte della mentalità comune». I cittadini e le amministrazioni fanno fatica a capire come funziona e come partecipare. Non ci sono esperti capaci di gestire i progetti né a livello creativo né burocratico.

 

La cartina del futuro di Milano – Ma riempire i vuoti aiuta a immaginare l’urbanizzazione del futuro e gli spazi che mancano in una città sempre proiettata in avanti, che a volte dimentica di guardare indietro. «Quando abbiamo lavorato sui mercati generali l’amministrazione ci ha dato in concessione una delle palazzine in via Molise. Lì hanno convissuto più esperienze: una sarta, delle stanze per studenti, uno studio di architetti. L’esperimento che abbiamo seguito alla palazzina Liberty, che era un ex macello, ci ha dimostrato che i cittadini cercano degli spazi polifunzionali in cui trovare aggregazione e non solo». Carlo Gallelli spiega che la cartina del futuro di Milano sarà fatta anche di spazi che sembrano appartenere alle tradizioni del passato ma che restano nel tessuto urbano di ogni città modificandosi con il tempo, come i mercati comunali, la sartoria o la ciclo officina .