Il processo non sarà rinviato. I giudici della seconda corte d’Appello di Milano hanno respinto la richiesta dei legali di Pierangelo Daccò. La difesa avrebbe voluto attendere il deposito delle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale ha da poco assolto tre coimputati del faccendiere e condannato invece un quarto a cinque anni di carcere.

Il processo di appello si è aperto a Milano la mattina dell’11 giugno. Daccò, condannato in primo grado a dieci anni di reclusione per il caso San Raffaele, si è difeso di fronte ai giudici dichiarando di non aver mai pagato tangenti alla regione Lombardia e a Roberto Formigoni. «Non ho mai rappresentato il San Raffaele», ha detto, «né il suo fondatore don Verzè e il suo allora braccio destro Mario Cal (l’ex presidente dell’istituto, morto suicida nel 2011, ndr)».

Accusato di associazione per delinquere e bancarotta, il faccendiere ha spiegato che il suo rapporto con Mario Cal «non è nato per pagare tangenti alla regione Lombardia» e all’ex governatore, ma «per un importante legame di amicizia e di business». Invitato più volte dal presidente della corte Flavio Lapertosa a non divagare, Daccò ha poi aggiunto: «Io il San Raffaele non l’ho mai rappresentato in Regione Lombardia. Per me era impossibile perché per oltre 15 anni rappresentavo un altro gestore molto importante e non si poteva rappresentarne due». Il suo intervento, inoltre, sarebbe risultato inutile: «Don Verzé aveva in Regione Lombardia un rapporto che durava da 30 anni ed era buon amico dei politici, era risaputo».

Il faccendiere ha ugualmente respinto l’accusa di aver distratto 35 milioni per l’affaire dell’aereo comprato dalla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor: «Non capisco come mi possa imputare una distrazione di 35 milioni di euro dalle casse dell’istituto, compreso il costo dell’aereo. Io ho solo passato un contratto che mi è stato chiesto per favore». Fuori dall’aula, l’avvocato di Daccò Giampiero Biancolella si è abbandonato a qualche dichiarazione: «Il mio assistito», ha protestato, «è stato l’unico a pagare».

Giulia Carrarini