Totem stazione

Una colonnina pubblicitaria alla stazione Centrale di Milano

I totem ci spiano. Non è un’antica credenza di qualche tribù primitiva, ma quello che ha scoperto Giovanni Pellerano, fondatore e responsabile dell’ufficio tecnico di Hermes, centro per la trasparenza e i diritti umani digitali. Pellerano ha infatti scoperto che le colonnine su cui vengono proiettate le pubblicità all’interno della stazione Centrale di Milano hanno installate al loro interno videocamere in grado di riconoscere i tratti facciali di chi li guarda. Da questi sarebbero in grado di risalire al sesso e all’età, oltre a misurare il livello di attenzione. Da qui la segnalazione al Garante della privacy che, secondo quanto scritto dal Corriere, nei giorni scorsi ha inviato una richiesta informativa alla francese Quividi, società che nel 2013 aveva stipulato un contratto con Grandi Stazioni per installare i totem.

La vicenda – Pellerano, secondo quanto riporta il Corriere, è stato attirato dal messaggio di errore di una delle colonnine e ha deciso di fare alcune verifiche sulle informazioni che visualizza il terminale. Ha così scoperto la raccolta clandestina di informazioni, che in seguito verrebbero vendute alle agenzie di marketing per misurare il successo pubblicitario o architettare una nuova campagna.

Le conseguenze – Questo tipo di dispositivi non sono una novità: si trovano da tempo nei negozi del centro e all’interno di vetrine. Ma la possibile presenza di un simile software fa storcere il naso a molti. «Se così fosse – spiega Giulio Enea Vigevani, professore di diritto costituzionale all’Università Bicocca – ci sarebbe un chiaro trattamento illecito di dati, che potrebbe portare a una pena amministrativa e a un eventuale risarcimento dei soggetti di cui sono stati venduti i dati. Raccogliere in questo modo informazioni va contro la legge sulla privacy. Un fatto del genere potrebbe essere giustificato solo per esigenze di sicurezza, non di certo per marketing».
Per installazioni di questo tipo è necessario fare specifica richiesta al Garante. Nel 2011 Quividi aveva richiesto un parere. Ora l’Authority vuole capire se il software sia lo stesso di sette anni fa.