Da una parte la piazza di Roma, dall’altra quella di Milano. Il sei novembre è stata la giornata delle manifestazioni contrapposte. All’apparenza unite dallo stesso obiettivo – la pace in Ucraina – in pratica divise su tutto o quasi. Nella capitale all’evento “Europe for peace” c’erano circa seicento sigle, da Libera a Emergency fino alla comunità di Sant’Egidio, assieme ai sindacati Cgil, Cisl e Uil. Ma anche molti politici: Conte e Letta, distanti, uno in testa e l’altro in coda contestato, una nutrita pattuglia di Unione popolare e altre formazioni di sinistra. A Milano, all’Arco della pace, tra le cinquemila persone che, secondo gli organizzatori, hanno partecipato alla manifestazione convocata da Carlo Calenda in risposta al «finto pacifismo» dell’evento romano, spiccavano le bandiere ucraine accanto a quelle dell’Unione europea e ad alcune della Nato. Nessuna bandiera della pace, però. Un primo elemento di distinzione, non solo cromatico, tra le due piazze, dove a Roma le tinte arcobaleno hanno invece colorato il corteo che da piazza della Repubblica si è mosso numeroso fino a piazza San Giovanni.
La piazza – Nello spiazzo dietro parco Sempione, con in mano cartelli che recitavano slogan contro Putin e sulle spalle le bandiere gialloblù, si notava la comunità ucraina che da più di otto mesi si ritrova quasi ogni sera in piazza Duomo per manifestare contro l’aggressione russa. Tra loro c’era Natalia, 38 anni, in Italia da due anni ma originaria di Dnipro, dove sono ancora i suoi genitori. Anche per lei, come per molti, stare in piazza è importante affinché «le persone non chiudano gli occhi». Ci racconta come non si aspettasse che Putin iniziasse una guerra su vasta scala contro l’Ucraina ma anche come dal 24 febbraio, proprio per questo, sia cambiato tutto. Per Emma, invece, la guerra è iniziata prima. È in Italia dal 2014, da quando è iniziato il conflitto in Donbass, dove ha perso un amico in combattimento. Suo fratello e i suoi cugini sono rimasti in Ucraina, arruolati nell’esercito. Tra la gente, poi, molti cittadini comuni, giovani e meno giovani. Anche Bobo Craxi e Pier Ferdinando Casini.
Gli interventi – Dietro le quinte arriva alla spicciolata tutto lo stato maggiore del Terzo polo, da Mara Carfagna a Mariastella Gelmini, da Ettore Rosato a Matteo Renzi. Fino ovviamente a Carlo Calenda. Sul palco, con sullo sfondo la bandiera ucraina con su scritto Slava Ukraini, accanto al mediatore Matteo Richetti, presidente di Azione, si avvicendano rappresentanti di associazioni e politici di partiti diversi. C’è in collegamento il sindaco di Leopoli, Andriy Sadovyi. Del Partito democratico, che ha scelto di essere in entrambe le piazze per ribadire la condanna alla Russia ma per non perdere contatto con il variegato movimento pacifista che ha sfilato a Roma, c’erano il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, anche lui in collegamento, e il senatore Alessandro Alfieri. Presente anche l’economista Carlo Cottarelli, indipendente eletto in Senato tra le liste del Pd. C’era l’assessore del comune di Milano Pierfrancesco Maran e il radicale Marco Cappato che ha espresso «solidarietà ai dissidenti russi» e ha ribadito la necessità di «incriminare Putin di fronte alla Corte penale internazionale». Tutti gli interventi convergevano su due punti precisi, quelli che più separavano la piazza milanese da quella romana: il bisogno di continuare a fornire supporto umanitario, economico ma anche e soprattutto militare e il ripristino dei confini internazionalmente riconosciuti.
Il caso Moratti – Ma tra i non detti e le bocche cucite dei politici presenti, a tener banco è stato il caso Letizia Moratti. Le dimissioni dell’ormai ex vicepresidente e assessore al welfare della regione Lombardia hanno agitato le acque della politica lombarda, a pochi mesi dalle elezioni regionali. E la sua presenza alla manifestazione organizzata dal Terzo polo è stata interpretata da molti come un primo passo verso una candidatura proprio con la lista di Renzi e Calenda. Sul palco Letizia Moratti, accanto a Saman, una ragazza iraniana, parla molto di Italia e meno di Ucraina: paragona quella ucraina alla resistenza italiana e al supporto militare alleato, cita il padre Paolo e la sua esperienza nel Cln, parla della necessità di un «Paese più giusto e solidale» con le donne. L’intervento è molto applaudito. Torna nel retro del palco dove continua ad intrattenersi, tra sorrisi e abbracci, con i dirigenti di Azione e Italia viva. E con Cottarelli. Anche questo è un segnale, dopo che da qualche giorno circola l’ipotesi di un possibile ticket tra l’economista e Moratti: un tentativo di ponte tra Terzo polo e Pd, che è indisponibile per ora a farsi imporre candidature dall’esterno.
La chiusura di Calenda – Nel vociare dei presenti per l’intervento appena ascoltato, dopo l’ex vicepresidente della regione e a chiusura della manifestazione, è salito sul palco Carlo Calenda. Esordisce citando Churchill – «potevano scegliere fra il disonore e la guerra, hanno scelto il disonore e avranno la guerra» – e sottolineando il rischio che Putin, se assecondato, non si fermi all’Ucraina, «proprio come Hitler non si fermò alla Cecoslovacchia». Sul tema dell’invio di armi la posizione del leader di Azione non si discosta da quelle precedenti. Ma gli applausi più rumorosi li ottiene quando attacca chi «confonde la pace con l’annessione e l’oppressione», segno della volontà di contrapporsi alla manifestazione romana. Ce l’ha per tutti: Conte, Orsini, Il Fatto Quotidiano. E nel finale rivendica il diritto di cantare Bella ciao. Ma sbaglia le parole e la piazza risponde con timidezza.