Una piazza pubblica, il centro mondiale della libertà di espressione, uno spazio digitale inclusivo e affidabile: questo il futuro previsto da Elon Musk per Twitter dopo la sua acquisizione a fine aprile 2022. Un’operazione da 44 miliardi di dollari che ha permesso al magnate di diventare proprietario del social network al 100 per cento. «Non è un modo per fare soldi – aveva affermato al tempo –. Twitter è la piazza digitale dove vengono discusse questioni vitali per il futuro dell’umanità». L’obiettivo era quello di rendere gli algoritmi open source, sconfiggere gli spam e autenticare tutti gli esseri umani. Ma dopo due anni e nove mesi c’è chi mostra scetticismo e la fuga degli inserzionisti ha fatto crollare le entrate. Le cifre di X (questo il nuovo nome della piattaforma dopo il rebranding), sono sempre state in discesa, fino a un valore di 9,4 miliardi di dollari a fine 2024: 80 per cento in meno rispetto ai 44 pagati da Musk.
Nonostante gli obiettivi dichiarati, fin da subito l’imprenditore ha ricercato il profitto, introducendo opzioni a pagamento come X Premium. I benefici sono la spunta blu, video e testi più lunghi, preferenze algoritmiche. La libertà di parola non è stata certo tutelata: il feed “consigliato” ha reso Musk onnipresente. Il suo account è il più seguito grazie a un algoritmo che lo favorisce. La sua attività di pubblicazione invade i feed di tutti gli utenti trainando così l’intera community. Il vero problema è che i suoi post sono fuorvianti, come affermato dal fact-checker indipendente PolitiFact. Il rischio è una spirale di disinformazione contrastata solo in parte dal sistema di verifica Community Notes, impotente di fronte ad informazioni ambigue e non errate al 100 per cento. Ed è proprio per non associare i propri prodotti a una piattaforma controversa che le aziende hanno scelto altre soluzioni. In aiuto di Elon Musk è intervenuto anche il presidente eletto Donald Trump, proponendo sanzioni contro le azioni censorie dei social di Meta e Google in favore dell’ultraliberale X.
Musk è famelico, ha le carte per cambiare l’ordine politico mondiale. Una è l’intelligenza artificiale, che ha implementato su X anche grazie alla sua esperienza nel settore. Nel 2015 ha fondato Open AI insieme a Sam Altman con l’idea di crearne un beneficio per l’umanità e competere con i colossi della tecnologia. Ma quando si è proposto come CEO, gli hanno negato la posizione: troppo grande il rischio di una concentrazione di potere. Così ha lasciato l’azienda e, oggi, è proprietario della startup xAI. Grok, il chatbot affiliato a X, genera contenuti che altri modelli vietano. Negli Usa, Musk lo ha addestrato attraverso i post degli utenti, anche ricevendo dati sanitari in cambio di diagnosi spesso errate che sono state denunciate. L’ex Twitter, per sua policy, nega di aver accesso a informazioni sensibili, ma la richiesta di immagini per assistenza medica di Grok è già una contraddizione. Con un AI meno regolamentata e la possibilità di influenzare il mercato, per Musk le questioni etiche e di sicurezza diventano secondarie. Con Trump alla Casa Bianca, ha un tappeto rosso su cui sfilare. Fa e disfa come Penelope. E da mastro burattinaio, è disposto anche a perdere qualche marionetta. Con X è già successo.
Sono quasi 3 milioni gli americani che hanno abbandonato la piattaforma in seguito alle elezioni del 5 novembre scorso. Il fenomeno, tuttavia, si è esteso ben oltre i confini statunitensi. Ad incoraggiare questo esodo, è stato principalmente il crescente coinvolgimento politico di Musk con Donald Trump, insieme alle decisioni controverse prese nei mesi precedenti le elezioni riguardo alle linee guida della piattaforma. In migliaia sono migrati su Threads, il social di Meta, e su Bluesky, una nuova creazione che vuole rappresentare un’alternativa “etica” ai principali competitor. Difficile capire ad oggi se si tratti di un fenomeno passeggero. Quel che è certo è che questo fatto ci obbliga ad interrogarci sul delicato confine tra libertà di parola e disinformazione, sul ruolo che le piattaforme esercitano su di esso. In un mondo digitale, dove la politica dipende a tutti gli effetti dai social network e dove questi hanno il potere di guidare ed influenzare l’opinione pubblica, è chiaro che Elon Musk abbia tra le mani uno strumento di potere formidabile.