Washington e Kiev pressano, Roma prende tempo. Se da un lato si fanno sempre più insistenti le richieste affinché il governo Meloni approvi il suo primo invio di armi in Ucraina (il sesto italiano), dall’altro, accanto alla volontà di mantenere gli impegni presi con gli alleati, non mancano alcune perplessità, sia politiche che militari. Mentre Giorgia Meloni rassicura sulla compattezza della maggioranza, il ministro degli Esteri Antonio Tajani annuncia che sarà previsto un apposito passaggio parlamentare.

La richiesta – Venerdì scorso il consigliere per la Sicurezza nazionale americana Jake Sullivan ha sentito telefonicamente Francesco Talò, braccio destro diplomatico della presidente del Consiglio. Al centro dei colloqui, l’aiuto militare da fornire a Kiev. A due settimane dal vertice Nato a Ramstein, in Germania, e dopo che Macron e Scholz hanno annunciato corposi pacchetti d’invii, per l’Italia arriva un sollecito ben preciso: insieme ad altri tipi di forniture, Kiev ha bisogno dei moderni sistemi antimissilistici Samp-T per proteggersi dai raid russi. Prima di Sullivan, era stato Zelensky in persona ad avanzare la richiesta a Giorgia Meloni. Per ora il decreto è in stand-by.

Dubbi militari – A rallentare l’invio, alcuni dubbi di ambienti militari: si rischierebbero di indebolire le difese aeree del Paese. L’esercito italiano possiede cinque sistemi operativi più uno utilizzato per l’addestramento. Quello da inviare a Kiev sarebbe proprio quest’ultimo, con alcuni aggiornamenti e cooperando con la Francia con cui se ne condivide la tecnologia. Delle restanti cinque batterie, una è attiva in Kuwait per difendere la base aerea da cui partono i voli per l’Iraq. Un’altra sarà operativa entro pochi giorni in Slovacchia per sostituire il sistema Patriot statunitense che verrà dirottato a sua volta in Ucraina. Altre due, come spiegano fonti militari a La Repubblica, sarebbero ciclicamente in manutenzione. Un problema, quello dell’indebolimento dell’ombrello sull’Italia, che non può essere risolto nemmeno puntando sulla produzione ex novo. Troppo lunghi i tempi e troppo alti i costi: per realizzare una batteria sono necessari sette anni e 700 milioni di euro.

Dubbi politici – Insieme alle perplessità legate alla sicurezza nazionale, ci sarebbero anche alcune questioni politiche a spiegare il ritardo del governo italiano. Fin dallo scoppio del conflitto, Giorgia Meloni ha sempre sostenuto la resistenza di Kiev e si è sempre detta d’accordo con l’invio di materiale bellico: una posizione confermata più volte dal suo insediamento a Palazzo Chigi e ribadita nel suo colloquio telefonico con il presidente Zelensky. Per questo, la neopremier mira ad approvare il pacchetto di aiuti entro il 24 febbraio, perché entro quella data sarà a Kiev. La volontà politica della leader di Fratelli d’Italia deve però fare i conti con i propri alleati. Le posizioni di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi sull’aggressione di Mosca rimangono ambigue, per lo meno sulla strategia da perseguire. Il rischio è che si verifichino delle prime crepe nella maggioranza, su un provvedimento che Meloni ritiene essenziale per la vita del governo. Per il sesto decreto interministeriale sull’invio di armi in Ucraina, dopo i cinque del governo Draghi, sarà previsto un passaggio parlamentare, come ha annunciato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, anche se rimangono ancora da capire modi e tempi.