La retorica politica di Giorgia Meloni è sempre la stessa. Una storia infinita con mostri, battaglie e vecchi nemici. Come quelli che deve affrontare Atreju, protagonista del romanzo fantasy di Michael Ende, riferimento letterario per il nome della festa della destra italiana finita domenica 17 dicembre. Dal palco romano dell’evento durato quattro giorni, la presidente del Consiglio ha ripercorso l’anno passato a Palazzo Chigi: ha rivendicato la narrazione dell’underdog, attaccato Cigl, Pd, Conte, Saviano e Ferragni.

Giorgia Meloni sul palco della festa Atreju (fonte: LaPresse)

Ritorno a casa – Giorgia Meloni parla per la prima volta da presidente del Consiglio ad Atreju, festa giovanile della destra italiana, che nei fatti è il più importante evento annuale organizzato da Fratelli d’Italia. La festa esiste dal 1998 e fu organizzata per la prima volta proprio da Meloni, che allora era una dirigente di Azione Giovani, la sezione giovanile di Alleanza Nazionale. «Sono tornata a casa», ha detto nel discorso che ha chiuso la kermesse romana. Settanta minuti in cui Meloni ha risfoderato la verve del comizio, che tanto le manca nelle stanze di Palazzo Chigi, come ripete lei stessa. Il titolo dell’edizione di quest’anno di Atreju è “Orgoglio italiano”, rivendicazione identitaria che piace all’elettorato.

Vecchi nemici – L’anno di governo sembra scarno di successi da ricordare, ad Atreju i riferimenti sono solo a imprese da compiere: premierato, autonomia, riforma della giustizia, immigrazione. Il discorso di Meloni però ha ruotato intorno ai nemici di sempre: «Gli avversari sono un bene perché ti spingono a fare meglio». Le frecciate sono per Elly Shlein, Giuseppe Conte e Roberto Saviano. Per la leader dem accusata di non avere «il coraggio» di partecipare a Atreju – Shlein ha rifiutato l’invito –  Meloni ha evocato addirittura Ecce bombo di Nanni Moretti: «Mi si nota più se vengo e sto in disparte o se non vengo». Giuseppe Conte non merita neanche di essere nominato, ma a tutti è chiaro di chi si parla quando la premier fa riferimento al politico che faceva campagna elettorale promettendo la possibilità di ristrutturare «gratuitamente» la propria casa oppure quando parla del reddito di cittadinanza. Nel discorso di Meloni ha trovato spazio anche il dossier Caivano, con un riferimento a un altro grande classico del repertorio della destra, Roberto Saviano: «Storie da raccontare che nessuno scrittore racconta, forse perché i camorristi fanno vendere molto di più, ci si fanno le serie televisive, regalano celebrità, ricchezza e magari un pulpito da New York da cui dare lezioni di legalità agli italiani, sempre si intende a pagamento». Nel mirino finisce addirittura Chiara Ferragni, che «fa finta beneficenza».

Vecchi amici – Sul palco insieme a Meloni è salito anche il leader del partito spagnolo Vox, Santiago Abascal. «Voglio che facciate un lungo applauso a Santiango Abascal. Un amico», ha detto alla platea Meloni. E ha aggiunto: «Continueremo a lavorare insieme per un’Europa migliore e diversa». Prima dell’intervento conclusivo della premier, erano intervenuti anche i due vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, leader degli altri due partiti che compongono la maggioranza di governo. Tutto all’attacco, l’intervento del segretario della Lega: contro la Cgil e lo sciopero dei trasporti che il sindacato ha promosso. Il ministro delle Infrastrutture ha spiegato che precettare «è un dovere» e che «Landini se ne farà una ragione». Il vicepremier ha anche precisato che «da secondo sto benissimo, specie se c’è Giorgia al comando» e che il ponte sullo Stretto si farà. Poi l’intervento del ministro degli Esteri, Tajani, improntato ad un atteggiamento costruttivo e di felice dialettica con le altre forze politiche, in vista delle elezioni europee. Il segretario di Forza Italia ha infatti ribadito: «Siamo una coalizione coesa e che in campagna elettorale non battibeccheremo».