Poteri esclusivi su sanità, istruzione, infrastrutture e gettito fiscale. È questa la richiesta di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna al governo per ottenere una maggiore autonomia dopo un anno e mezzo di lunghi negoziati. Il 22 ottobre del 2017, infatti, in Veneto e Lombardia si sono tenuti due referendum consultivi (approvati con larga maggioranza dagli elettori) per ottenere la cosiddetta “autonomia differenziata”, mentre a febbraio 2018 alle due regioni guidate dai leghisti Luca Zaia e Attilio Fontana si era aggiunta anche l’Emilia Romagna. Una prima intesa per ampliare le competenze dirette era stata firmata con l’allora sottosegretario del governo Gentiloni, Gianclaudio Bressa, poi con la formazione del governo Lega-M5S l’iter per una maggiore autonomia è stato accelerato. Giovedì 14 febbraio il ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie, Erika Stefani, porta gli accordi finali in consiglio dei ministri: il dossier passa quindi dai tavoli tecnici a quelli politici. Sul tema dell’autonomia rischiano di scontrarsi gli storici interessi “nordisti” della Lega con quelli legati al sud del Movimento 5 Stelle. Per questo, su alcune competenze un accordo ancora non c’è. Ma in attesa del consiglio dei ministri di giovedì sera, vediamo cosa dovrebbe cambiare con l’approvazione delle intese con le tre regioni.

Le competenze di oggi – Le competenze regionali odierne sono regolate dal cosiddetto “Titolo V” della Costituzione che si occupa dei rapporti tra Stato e autonomie locali: regioni, province e comuni. Le attuali competenze sono il frutto di una serie di riforme del “Titolo V” che si sono susseguite a partire dagli anni ’70 fino a quella del 2001 voluta dal governo di Giuliano Amato. Escludendo il tentativo di riforma Renzi-Boschi, bocciata con il referendum del 4 dicembre 2016, tutte le modifiche sono andate verso un’unica direzione: quella di un maggiore “federalismo” che andasse a spostare sempre di più le competenze dallo Stato centrale ai territori locali. La riforma del 2001 andava proprio in questa direzione: le regioni hanno potere decisionale in ambito finanziario (decidere come spendere i propri soldi) e anche istituzionale (decidere sull’assetto dei consigli regionali). Inoltre quella legge costituzionale introdusse le competenze esclusive dello Stato, lasciando tutte le altre non nominate alle regioni. Le competenze – che si dividono tra esclusive dello Stato, concorrenti tra Stato e regioni ed esclusive delle regioni – sono elencate all’articolo 117 della Costituzione: quelle che saranno oggetto dei nuovi accordi sono il sistema tributario, la sanità, le infrastrutture e i trasporti, l’istruzione e il lavoro. Oggi tutte queste sono a legislazione concorrente mentre Emilia, Veneto e Lombardia chiedono di poterle gestire in via esclusiva.

Le competenze di domani – Nella serata di mercoledì 13 febbraio il ministro Stefani ha annunciato che è stato trovato un accordo con il governo sul tema del sistema tributario: le regioni potranno tenersi la maggior parte del loro “residuo fiscale”, ovvero la differenza tra quanto ogni territorio paga di tasse e quanto viene effettivamente speso (di solito torna allo Stato centrale). Questo dovrebbe avvenire attraverso il trattenimento di una parte dell’Irpef e dell’Iva, ma rimane uno dei punti più spinosi perché i governatori del sud sono già sul piede di guerra: se Emilia, Veneto e Lombardia dovessero ottenere piena autonomia fiscale, significherebbe meno soldi per le regioni meridionali. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha annunciato per giovedì una protesta davanti a Palazzo Chigi mentre il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, parla di «minaccia per tutto il Sud» auspicando «un nuovo Risorgimento» per opporsi alla decisione del governo. Oltre al tema delle tasse, i governatori Zaia, Bonaccini e Fontana chiedono che alle regioni passi anche la competenza (e quindi i fondi) sul lavoro: gli incentivi alle imprese e la gestione della Cassa integrazione e delle politiche attive del lavoro. Sul fronte di infrastrutture e trasporti, invece, le tre regioni chiedono di avere la competenza sulla gestione diretta di autostrade, ferrovie e aeroporti e anche sulla loro quota dei fondi infrastrutturali (ma su quest’ultimo punto, il ministro Toninelli vacilla). A cambiare dovrebbero essere anche le competenze in materia di sanità pubblica: l’obiettivo è quello di finanziare interamente il sistema con le risorse del bilancio regionale (uscendo così da quello nazionale che prevede un bilanciamento tra le diverse regioni) grazie ai nuovi poteri sulle tariffe, sui farmaci e sui fondi per personale, beni e servizi. Infine, l’ultimo capitolo è quello relativo all’istruzione: secondo le intese già firmate, i territori decideranno sulla programmazione dell’offerta formativa, l’alternanza scuola-lavoro e sui rapporti con le scuole paritarie. Inoltre gli insegnanti, e in particolare i neo-assunti, passeranno dal controllo dello Stato a quello delle tre regioni.

L’iter – Il percorso verso una maggiore autonomia per Emilia, Lombardia e Veneto però è ancora lungo. Dopo il consiglio dei ministri che dovrebbe dare il via libera alle intese già firmate con altrettanti decreti, l’attribuzione delle risorse sarà determinata da tre commissioni Stato-Regioni sulla base della spesa sostenuta oggi. Poi, entro un anno, andranno stabiliti i nuovi “fabbisogni standard”, ovvero i finanziamenti che dovranno essere trasferiti in maniera definitiva da Roma ai territori. Tutto questo, si legge nel comma 2 del decreto anticipato dal Corriere della Sera, dovrà avvenire senza «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».