«La Repubblica riconosce la canzone ‘Bella ciao’ quale espressione popolare dei valori fondanti della propria nascita e del proprio sviluppo». Così recita la proposta di legge depositata ieri, 6 giugno, alla Camera dei deputati da Pd, M5s, Leu e alcuni deputati di Italia Viva. Anelito di antifascismo o provocazione a scopo elettorale in vista delle amministrative di ottobre? Se l’obiettivo era il secondo, è stato raggiunto. Le reazioni sdegnate della destra sono scontate. Ma anche Marco Rizzo, segretario di Italia Comunista, ha etichettato l’iniziativa come «antifascismo prêt-àporter», definendo il Pd come «la costruzione politica più ipocrita che ci sia. Con questa gente non vogliamo avere nulla a che fare».

Critiche – Le polemiche si sono dipanate su due piani: uno più politico, che denuncia la coincidenza della proposta di legge con la campagna elettorale in vista delle elezioni amministrative d’autunno, banco di prova fondamentale per la tenuta del centrosinistra e la definizione del suo perimetro. Un centrosinistra in cerca di un’identità, come dimostrato dall’attivismo di Enrico Letta una volta diventato segretario – dal voto ai sedicenni alla tassa di successione sui patrimoni superiori ai 5 milioni di euro – e la nomina di Giuseppe Conte a capo del Movimento 5 Stelle. L’altro piano è meno definito, più scosceso e difficile da ripercorrere. Perché la canzone Bella Ciao evoca la storia, la memoria. Fa sanguinare ferite che dopo più di mezzo secolo ancora non sono del tutto rimarginate. Ed è allo stesso tempo occasione di approfondire la genesi di un testo ancora oggi discussa, esercizio di stile per storici e appassionati.

Bella ciao è di tutti? – «Bella ciao, non per colpa del testo ma per colpa della sinistra, è diventata una canzone che non copre il gusto di tutti gli italiani: è troppo di sinistra. Non è la canzone dei partigiani, è la canzone solo dei partigiani comunisti. Sono contrario», ha affermato Ignazio La Russa, un lungo passato nel Movimento sociale italiano (erede del fascismo di Salò) e ora vicepresidente al senato di Fratelli d’Italia. La prospettiva è quella di destra, che a stento riconosce il ruolo dei partigiani e della Resistenza nella liberazione dell’Italia dal nazifascismo, sminuendone il ruolo e rovesciando il loro intento: «Ha ragione la Boldrini quando afferma che la Resistenza fu un fenomeno eterogeneo in cui erano presenti diverse anime. Tra queste, quella certamente prevalente era quella comunista che aveva un obiettivo molto chiaro: sostituire una dittatura con un’altra», è l’analisi sul Giornale di Matteo Carnieletto, autore del volume ‘Verità infoibate’ sui massacri comunisti in Istria e Dalmazia. Bella Ciao non sarebbe dunque una canzone inclusiva, ma divisiva, proprietà ed espressione della frangia più radicale della Resistenza antifascista. Ma proprio i valori universali – la lotta patriottica contro ogni forma di abuso di potere, la difesa dei diritti e la battaglia per l’emancipazione sociale – di cui la canzone si è fatta portavoce hanno garantito la sua fortuna oltre i confini nazionali. Abbiamo apprezzato le combattenti di Kobane, città curda oppressa dal governo siriano e unicum nella regione per il riconoscimento dei diritti delle donne, riadattare Bella Ciao come inno e identificazione della loro resistenza; le Sardine, in occasione delle elezioni regionali in Emilia-Romagna, farne un inno contro il razzismo e le diseguaglianze; la Casa de papel, serie Tv spagnola con un gran successo in Italia, renderla simbolo di comunità, condivisione di una lotta e di un obbiettivo.

La storia – Se la fortuna di Bella Ciao è indiscutibile, non lo è altrettanto la sua origine. La traccia più antica risale a un’incisione del 1919, in un disco a 78 giri, del fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff”. Si tratterebbe di un genere musicale yiddish (un dialetto parlato dalla maggioranza degli ebrei stanziati nell’Europa centrale e orientale e di quelli successivamente emigrati negli Stati Uniti d’America), detto Klezmer, in cui confluiscono vari elementi tra cui proprio la musica popolare slava. Sulla realizzazione dell’attuale canzone però si scontrano diverse ipotesi. Alessandro Portelli, giornalista del Manifesto, rifacendosi all’ipotesi dello storico Cesare Bermani, sostiene che fosse l’inno di combattimento della Brigata Maiella in Abruzzo, cantato nel 1944 e portato al Nord dai suoi componenti che dopo la liberazione del Centro Italia aderirono come volontari al corpo italiano di liberazione aggregato all’esercito regolare. Ma la sua ricostruzione è piuttosto isolata. Nicola Troilo, figlio di Ettore, fondatore della Brigata, nella sua autobiografia non annovera l’inno tra quelli dei partigiani. Dino Messina, sul Corriere della Sera critica le fonti di Bermani, risalenti al 1964, e afferma che sul piano documentale non si abbia traccia di Bella Ciao prima del 1953, quando venne pubblicato il testo sulla rivista ‘La Papa’. Messina smonta anche la ricostruzione di Carlo Pestelli, autore di ‘Bella Ciao. La canzone della libertà’, che, senza citare fonti storiche, racconta che nel 1947, a Praga, in occasione della rassegna “Canzoni mondiali per la gioventù e per la pace”, un gruppo di ex combattenti provenienti dall’Emilia Romagna diffuse con successo la canzone. È comunque nel 1964, in occasione del “Festival dei due mondi di Spoleto”, che la canzone acquisisce fama popolare, che perdurerà fino ai giorni nostri. «Il successo di Bella Ciao come “inno” di una guerra durante la quale non fu mai cantata, plausibilmente, deriva dalla orecchiabilità del motivo, dalla facilità di memorizzazione del testo, dalla “trovata” del Nuovo Canzoniere di introdurre il battimani. Insomma, dalla sua immediata fruibilità», è l’ipotesi di Messina, che spiegherebbe anche il successo di altri motivi, affascinanti ed evocativi, come E io ero Sandokan, risalente al 1974 e colonna sonora del film C’eravamo tanto amati, erroneamente fatta risalire alla Resistenza.