Lecito o non lecito. È questo il dilemma scaturito dall’iscrizione al registro degli indagati del Garante e fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, accusato di aver fatto pressioni sui rappresentanti politici pentastellati per favorire l’amico e proprietario della società Moby, Vincenzo Onorato. Legittimo finanziamento privato o traffico di influenze? “Codice politico” o codice penale? Incongruenza con l’ideologia che l’M5S ha portato avanti fin dalla fondazione? Dal dilemma si diramano altri quesiti, che si intrecciano tra loro spaziando dalla cronaca giudiziaria alla coerenza di un personaggio che ha fatto dell’integrità morale la colonna portante della sua cifra politica.
I fatti – Per capire il motivo della richiesta d’aiuto di Onorato a Grillo bisogna fare un salto indietro ai tempi dei governi Conte 1 e 2. Danilo Toninelli ministro dei Trasporti e Luigi di Maio prima, Stefano Patuanelli poi, a capo del Mise, il ministero dello Sviluppo economico. In quel periodo l’armatore napoletano aveva due problemi: primo, risolvere la crisi finanziaria di Moby e Tirrenia, pressate e minacciate dai loro creditori nonchè debitrici nei confronti dello Stato di 180 milioni; poi, non perdere la Convenzione (poi revocata) tra lo Stato e la Compagnia italiana di navigazione, presieduta dallo stesso Onorato, di 72 milioni di euro annui per la concessione esclusiva delle tratte marittime. Entrambe le questioni erano di competenza dei dicasteri allora controllati dal Movimento 5 Stelle. Nello stesso periodo, Onorato firma con il blog di Beppe Grillo un contratto di due anni (2018-2019) che prevedeva un compenso di 120mila euro, commissionando in cambio uno spot al mese e l’inserimento di messaggi pubblicitari, contenuti redazionali e interviste a testimonial della Moby da pubblicare anche sui social. Nel 2018 inoltre Moby strinse un accordo con la Casaleggio Associati affinché la piattaforma di Davide Casaleggio effettuasse la «stesura di un piano strategico e la gestione di iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stakeholder del settore marittimo sulla limitazione dei benefici fiscali del Registro Internazionale alle sole navi che imbarcano equipaggi italiani o comunitari». L’accusa degli inquirenti è che la pubblicità fatta sul blog non fosse sufficiente a giustificare il finanziamento, volto invece a indurre Grillo a fare pressioni, dimostrate da 12 catene di chat Whatsapp, su parlamentari e ministri di competenza dei dossier che interessavano a Onorato.
L’accusa – La fattispecie di reato di cui è accusato Grillo è dunque traffico di influenze illecite (art. 346 bis del codice penale). Che sarebbe avvalorato nel caso in cui Toninelli, Patuanelli o altri esponenti del Movimento avessero compiuto atti politici volti ad aiutare l’armatore, sotto richiesta del loro Garante. Il tutto ancora da dimostrare. La vaghezza della fattispecie, tra l’altro inasprita nel 2019 dalla legge “Spazzacorrotti” dell’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (anche lui espresso dal Movimento), è criticata da vari esperti che manifestano l’esigua corrispondenza tra accusa e condanna, in Italia come in Francia e Spagna. Scrivono oggi, 20 gennaio, su Domani i giuristi Pier Luigi Petrillo e Vincenzo Mongillo: «La norma dovrebbe servire a contrastare quel mondo gelatinoso popolato dai cosiddetti faccendieri o facilitatori, che interferiscono in modo non trasparente e improprio, sulle decisioni pubbliche. Di fatto, però, l’obbiettivo viene perseguito mediante un’incriminazione che sembra essere la più incostituzionale dell’intero statuto penale della pubblica amministrazione». Facendo confusione, sostengono i giuristi, tra attività politica che, per forza di cose, rappresenta interessi privati, e «favoritismo corruttivo. Parliamo insomma dell’atavico dilemma del rapporto tra finanziamento della politica e democrazia: da una parte vogliamo che sia privato, dall’altro che non influisca sulle scelte dei parlamentari».
Anche Giuliano Ferrara, in un editoriale sul Foglio, critica le accuse basate su questa fattispecie, evidenziando anche l’incongruenza che Grillo avrebbe dimostrato in questo frangente, definendo i pentastellati persone «eticamente molli ma esteriormente rigidissime nei principi». Scrive d’altronde, a proposito dell’ex comico, Marco Tarchi nel suo volume “L’Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo”, che «la denuncia della truffa implicita nel meccanismo della rappresentanza, accusato di escludere i non addetti ai lavori dalla gestione della cosa pubblica annullando l’autogoverno popolare, fondamento della democrazie, è particolarmente insistente sin dai tempi del primo V-day».
La difesa – Per ora Grillo ha deciso di non esporsi, convinto, come affermano i suoi legali, di non aver commesso il reato nonostante le chat che invece dimostrerebbero il tentativo di influenzare le scelte di parlamentari e membri del governo dei 5 Stelle, da lui derubricate a semplici consigli o segnalazioni. Il garante si mostra tranquillo con i suoi fidati: non ci furono, o non ci sarebbero stati, particolari favori a Onorato da parte del Movimento.
Memore dell’esposizione pubblica a favore del figlio Ciro, accusato di stupro, che gli si è ritorta contro e ha rappresentato un grave autogol politico, per ora l’ex comico ha scelto il riserbo. Lamentando, proprio come faceva Berlusconi, la strumentalizzazione dell’accusa alla vigilia delle votazioni per eleggere il prossimo presidente della Repubblica, in cui il Movimento è a corto di nomi e alle prese con problemi interni di rapporti di forza e leadership.
Se dal punto di vista giudiziario una condanna non è affatto scontata, scrive Marco Lillo sul Fatto Quotidiano, Grillo è «indifendibile politicamente. […] Per miseri 240.000 euro ha sputtanato se stesso e il Movimento. D’ora in poi sarà dura rivendicare una diversità dal resto della politica».