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Il passaggio della campanella di governo da Romano Prodi a Silvio Berlusconi, nel 2006

Due storie opposte e parallele, fino alla fine. Silvio Berlusconi e Romano Prodi sono stati avversari politici per vent’anni e anche ora, a dieci giorni dal referendum del 4 dicembre, si schierano su posizioni diverse. Il leader di Forza Italia, sebbene il giorno dopo si penta di quanto dichiarato il giorno prima, si dice per il No. L’ex presidente del Partito Democratico, invece, non parla, ma le indiscrezioni lo vorrebbero a favore del Sì.

In vista dell’appuntamento referendario, il Cavaliere si concede volentieri a interviste e ospitate in tv: ogni occasione è buona per tentare di ritagliarsi ancora uno spazio sulla scena. Ma, a detta di tanti, il suo No alla riforma Renzi-Boschi suona come una presa di posizione obbligata e sostenuta con ben poca convinzione. D’altronde, riforma del Titolo V e della composizione del Senato (nonché il varo di una nuova legge elettorale) erano i fondamenti del cosiddetto patto del Nazareno siglato dall’ex presidente del Consiglio e dall’attuale, Matteo Renzi. Ma, rotto l’accordo, un No unanime al referendum è diventata la carta da giocare per ricompattare un centrodestra frammentato. Non tutti, però, sono fedeli alla linea: tanti, all’interno di Forza Italia, sarebbero pronti a mettere una croce sul Sì. Tra questi anche Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, che ha fatto capire di non essere d’accordo col partito: «Penso che oggi sul referendum faccia figo dire “Io voto No”» ha dichiarato il fedelissimo di Berlusconi, convinto che ci siano buone probabilità che il 4 dicembre vinca il Sì. «In una fase come questa si deve piuttosto pensare al dialogo».

Orientato al dialogo sembra anche Berlusconi, pur se la trattativa sarà da aprire dopo il voto, in caso di vittoria del fronte del No. «Se vince il No non cambia nulla, non succederà niente, ma si apre la possibilità di una riforma della Costituzione molto diversa e positiva», ha assicurato nei giorni scorsi il leader di Forza Italia, che si è detto pronto a sedersi al tavolo con il governo per fare una nuova riforma e una nuova legge elettorale. Anche perché, secondo il Cavaliere, in caso di sconfitta Renzi non si dimetterà: «Penso che questo governo rimarrà in carica perché ha la maggioranza in Parlamento – ha detto Berlusconi –, non credo a elezioni anticipate perché tanti parlamentari sono attaccatissimi alla poltrona».

L’altro grande inseguito dai giornali è Romano Prodi. Lui, però, non concede mezza parola. «Sul referendum non rispondo – ha detto l’ex presidente del Consiglio ad Affaritaliani.it –. Lo so solo io come voterò, perché ormai sono un cittadino privato e basta. Non farò endorsement perché non c’è alcun bisogno di farlo. Avendo taciuto fino ad oggi non c’è motivo che io parli». Secondo il Corriere, il professore sarebbe combattuto. Pur non apprezzando tanti aspetti del nuovo Senato e, soprattutto, la strategia renziana, non escluderebbe di votare Sì. Non tanto per i contenuti della riforma, quanto per le conseguenze del voto: il suo timore sarebbe quello di un’ondata populista anche in Italia, con la possibile salita al governo dei Cinque Stelle.

E se l’ex premier tace, parlano per lui i suoi collaboratori e compagni di partito. «Riconosco nella riforma, quasi alla lettera, le principali tesi che Prodi propose alla coalizione dell’Ulivo – ha detto Sandra Zampa, vicepresidente Pd e sua ex portavoce –. Il Sì è l’unico atto coerente: il superamento del bicameralismo era uno degli approdi che l’Ulivo di Prodi avrebbe voluto conquistare». Schierato per il Sì, anche se tutt’altro che renziano, è Enrico Letta: sottosegretario di Prodi nel suo ultimo governo e molto legato al professore, potrebbe contribuire a fargli cambiare idea.