Campagna elettorale del PD L'Italia Giusta

 

Un’apertura che non stempera i toni. E che ribadisce il giudizio critico della minoranza PD sul referendum costituzionale del 4 dicembre. E’ quella indirizzata dal leader della sinistra dem Pier Luigi Bersani al presidente del Consiglio Matteo Renzi, in un colloquio con Il Corriere della Sera pubblicato il 16 novembre. “Il Sì porterebbe instabilità – ha spiegato – ma se vince il No Matteo può restare. Anche se acciaccato. Se vuole andarsene sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a decidere il da farsi”.

Nessuna Apocalisse o disastro epocale. Secondo Bersani il No alla riforma sarebbe un time out. Un anno di tregua essenziale per “buttare a mare l’Italicum”, principale bersaglio della minoranza dem, e rielaborare le leggi elettorali di Camera e Senato. L’addio di Renzi a palazzo Chigi sarebbe quindi un errore per l’ex segretario, che però aggiunge come sia necessario da parte del partito un atteggiamento “meno chiuso, arrogante e inchinato”.

La prospettiva della vittoria del Si al referendum aprirebbe – continua Bersani – un periodo di crisi, col rischio di spianare la strada a quelle forze della nuova destra su cui da tempo il leader della minoranza dem mette in guardia. “Il risultato di Trump dice che l’onda è ormai quella. Succederà anche a noi”. C’è una “mucca nel corridoio che bussa alla porta” – ha spiegato Bersani, usando una delle metafore che lo hanno reso celebre – rappresentata da una nuova destra, “cattiva, xenofoba e razzista”, prodotto della crisi della globalizzazione. “Solo una nuova sinistra è in grado di fermarla”.

“Le analisi zoologiche di Bersani sono interessantissime, ma non le riesco a capire” – ha invece replicato con ironia Matteo Renzi, il giorno dopo ai microfoni di RTL 102.5. Il premier ha ribadito il suo no a un governo tecnico o di scopo per modificare l’Italicum nel caso di una bocciatura della riforma. “Se vince il no rimane tutto come adesso. Gli italiani non si devono far ingannare dai politici che cercano solo un pretesto per difendere i propri privilegi. Io non sto attaccato alla poltrona” – ha detto. E ha respinto i tentativi della minoranza di strumentalizzare il referendum in vista del Congresso del partito che si terrà il giorno dopo il voto: “Ne riparliamo il 5 dicembre”.

Intanto gli strappi tra la sinistra dem e la maggioranza PD faticano a ricucirsi, nonostante gli sforzi di Gianni Cuperlo per ricompattare il partito. “Se non si cambia la legge elettorale, voto No al referendum e mi dimetto da parlamentare” – era stato l’annuncio del deputato, sempre allo scopo di favorire una modifica dell’Italicum. Risultato: la formazione del comitato per la rettifica della legge elettorale, composto dallo stesso Cuperlo, dal vice segretario del partito Lorenzo Guerini, dal presidente PD Matteo Orfini e dai capogruppo alla Camera e al Senato Ettore Rosato e Luigi Zanda. Il comitato dopo settimane di difficoltà è giunto a una bozza d’intesa che prevede, tra le altre cose, l’abolizione del  ballottaggio e l’elezione dei senatori. L’intesa passerà in seguito al vaglio della direzione del partito, ma sull’accordo la minoranza democratica si è già spaccata:  i bersaniani sono in rivolta e l’ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza l’ha definito “un documento fumoso”. Nubi che faticano a diradarsi per il Partito Democratico, in attesa del momento cruciale del voto. E forse ancora di più in attesa del giorno seguente, 5 dicembre, data del Congresso e dei fantasmi di una scissione.