«Non ho mai detto che porto Azione al 20% alle prossime elezioni, ho detto che dobbiamo pensare come un grande partito e batterci per arrivare al 20%». Carlo Calenda aggiusta il tiro dopo le affermazioni fatte durante il primo Congresso di Azione il 19 e 20 febbraio. Lo fa nel salotto dell’Aria che tira, programma di La7 condotto da Myrtha Merlino: «Da oggi questo partito è contendibile. È l’ultima volta che voglio essere l’unico candidato alla segreteria».

Un Congresso, mille voci – L’esito era scontato e da un certo punto di vista anche poco interessante: Calenda è stato nominato per acclamazione segretario nazionale di Azione dai delegati del partito. L’attenzione degli spettatori presenti al Palazzo dei Congressi di Roma era più che altro diretta agli interventi degli altri leader. Molti, quasi da ogni parte dello schieramento politico. Due le esclusioni illustri, ma previste: Fratelli d’Italia e il Movimento 5 Stelle. «Stimo molto Giorgia Meloni, ma non ho un dialogo politico con lei. I grillini sono l’opposto della cultura di governo». Insomma, mai con gli uni né con gli altri. Per ragioni diverse, certamente: Calenda vuole un campo riformista, progressista, figlio di una cultura liberale che non appartiene a nessuno dei due. Cultura condivisa, invece, con il Pd di Enrico Letta: «Sono sicuro che insieme faremo grandi cose per il futuro del nostro Paese, che insieme senza ambiguità vinceremo le politiche del 2023 e dopo il voto daremo un governo riformista, democratico ed europeista eletto dai cittadini per rendere la politica al servizio del nostro Paese».

Calenda però non guarda solo al centrosinistra, pur plaudendo Letta e descrivendo Matteo Renzi come il miglior presidente del Consiglio dopo Alcide De Gasperi, anche se gli ha consigliato di scegliere tra politica e business. Al Congresso di Azione sono intervenuti il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani e il vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti, che ha strizzato l’occhio al leader dei Parioli: «Non vi posso promettere come ha fatto Letta che vinceremo insieme le elezioni, ma sono certo che tra noi ci saranno ampi margini di collaborazione», sottolineando come serva «un governo che decida, una democrazia che aiuti la crescita senza pensare a tornaconti elettorali». Un segnale forte la presenza di Giorgetti e l’assenza di Matteo Salvini, che non ha gradito l’intervento. Calenda, però, fa spallucce: «Ho invitato Salvini che non ha neanche risposto. Non so qual è la sua linea, un giorno è europeista, un giorno no. Non sa nemmeno lui dove vuole andare». Il leader della Lega ha risposto ai microfoni di Radio 24: «Calenda? Si presenterà al voto popolare, vediamo quanti cittadini gli daranno la fiducia, però io non do lezioni in casa altrui, mi sembrerebbe arrogante». Intanto il leader di Azione ha stipulato la prima vera alleanza, con la leader di Più Europa Emma Bonino, che Calenda aveva anche proposto per il Colle: «Penso che questo accordo di federazione vada bene, anche se non sarà facile. Più i partiti sono piccoli, più sono litigiosi. Insieme ci aspetteranno cose bellissime». Insieme, al momento, non arrivano al 5%.

Una questione di numeri – Enrico Letta vorrebbe ricostruire l’Ulivo che riuscì a sconfiggere Silvio Berlusconi nel 1996, ma quello che si sta conformando sembra essere più simile all’Alleanza dei progressisti guidata da Achille Occhetto che contro il Cavaliere perse nel 1994. Il problema di fondo è il Tetris di veti incrociati: Calenda non vuole il M5S, Renzi idem. Ma il Movimento ha una forza elettorale che, pur avendo perso la spinta propulsiva del 2018, attualmente è al 16% nei sondaggi. Alle elezioni del 2023 manca ancora un anno. Molto, per fare delle previsioni su cosa accadrà. Poco, per cambiare la legge elettorale, specie se c’è un governo con una maggioranza che ha ambizioni diverse. Spesso ci si dimentica di citarla, eppure sarà proprio il modo in cui si andrà a votare che potrebbe determinare le alleanze nel breve termine. Se si dovesse andare verso una riforma proporzionale con uno sbarramento alto, allora Azione potrebbe rientrare nei giochi. Ma se, come sembra plausibile, si dovesse andare a votare con il Rosatellum, che prevede un 37% di seggi assegnato in modo maggioritario, Letta non romperà l’alleanza con il pentastellati per imbarcare Calenda, con il quale forse condivide di più sul piano politico. Ma questa, parafrasando Humphrey Bogart «è la politica, bellezza».