Silvio Berlusconi è stato condannato in primo grado a sette anni più l'interdizione perpetua dai pubblici uffici nell'ambito del cosiddetto "processo "Ruby"

“Questo non è un processo, questi non sono giudici, questo è un plotone d’esecuzione”. Così Silvio Berlusconi ha commentato la condanna in primo grado nell’ambito del processo Ruby. La sentenza in primo grado a 7 anni (con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici) è arrivata, come una mazzata, nel tardo pomeriggio di lunedì 24 giugno. I due reati per cui l’ex premier è stato condannato sono gravi, sia dal punto di vista dell’immagine di Berlusconi che dal punto di vista formale: prostituzione minorile e “concussione per costrizione”. Proprio quest’ultimo capo d’imputazione ha portato il collegio giudicante a infliggere un anno in più rispetto alla richiesta dell’accusa.

Secondo la corte presieduta dal giudice Giulia Turri, l’azione compiuta dall’allora Presidente del Consiglio la notte del 27 maggio 2010 non fu un’induzione ma una vera e propria “costrizione” via telefono per far ‘sì che una minorenne marocchina fermata per furto, Karima El Marough (in arte “Ruby”) fosse affidata a Nicole Minetti. E non, come disposto dal Pm dei minori Annamaria Fiorillo secondo le norme di legge, a una comunità.

In una nota messa a punto con Paolo Bonaiuti e l’onnipresente Niccolò Ghedini, che poche ore prima era nell’aula del tribunale di Milano ad ascoltare la lettura della sentenza, il Cavaliere ha manifestato tutta la amarezza: “Intendo resistere a questa persecuzione perché sono assolutamente innocente e non voglio in nessun modo abbandonare la mia battaglia per fare dell’Italia un paese davvero libero e giusto”, ha commentato Berlusconi. Una combattività mossa anche dall’incredulità: “Ero veramente convinto che mi assolvessero perché nei fatti non c’era davvero nessuna possibilità di condannarmi, e invece è stata emessa una sentenza incredibile, di una violenza mai vista né sentita prima, per cercare di eliminarmi dalla vita politica di questo Paese”.

In un momento decisivo della storia politica italiana, che da ormai vent’anni ruota di fatto attorno ai guai giudiziari di Silvio Berlusconi, le reazioni del mondo politico sono state perlopiù improntate all’insegna della prudenza. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha esortato le forze in campo a pensare al bene dell’esecutivo e non agli interessi di parte: “La continuità delle istituzioni è un elemento essenziale. Non sono passati nemmeno due mesi dalla formazione di un governo che l’argomento diventa la prossima incombente, imminente o fatale crisi di governo”.

Anche nel Pd le reazioni sono state particolarmente moderate. Ecco quella di Nicola Latorre, senatore del Partito Democratico e presidente della commissione Difesa a Palazzo Madama: “Ieri è stata una giornata molto triste per il Paese. Le sentenze non si commentano, non spetta a me entrare nel merito del processo e della condanna, tanto più perché non conosciamo ancora le motivazioni”.

La quiete non regna certo nel Pdl, dove tante sono state le voci critiche che hanno duramente attaccato la sentenza. Maria Stella Gelmini ha parlato di una condanna che “avvelena i pozzi. E’ stata scritta dai nemici della pacificazione che mirano a far saltare il banco”. Maurizio Gasparri ha detto che il fatto “avrà inevitabili conseguenze politiche”. Fuori dagli organi di partito spicca il commento di Giuliano Ferrara. Per il direttore de Il Foglio “si tratta di una sentenza vergognosa, che affligge la giustizia italiana e la rende simile a quelle afghane o iraniane. All’ordine del giorno c’era la pronuncia su una questione culturale e morale che sta alle radici degli ultimi vent’anni di vita pubblica in Italia”.

Federico Thoman