“Siamo a disposizione per un governo di coalizione”. Con queste parole Silvio Berslusconi ha riassunto la posizione del Pdl al termine dell’incontro col Presidente Napolitano, durato circa un’ora. Nella delegazione, salita al Quirinale nella mattinata di giovedì 21 marzo, erano presenti anche il segretario Angelino Alfano, i neo capigruppo Renato Schifani e Renato Brunetta, il vicesegretario federale della Lega Giacomo Stucchi.
Chiare fin da subito le intenzioni del centro destra. Dalle urne sono uscite tre forze politiche “di pari entità” secondo il Cavaliere “ma una [il Movimento 5 stelle ndr] non è disposta a collaborare”. La responsabilità del governo e del Paese incombe quindi solo su Pd e Pdl, conclude l’ex premier.
Sì dunque a un esecutivo di larga coalizione, un “governo di concordia nazionale”, come Berlusconi lo aveva chiamato nei giorni scorsi. Netto no a un governo di minoranza targato Pd: ”Non è accettabile che una forza che ha solo il 30 per cento dei voti possa esigere e prendersi tutto”, avverte il Cavaliere. Che ha aggiunto una stoccata finale per il Pd di Bersani: dopo i presidenti di Camera e Senato “non è assolutamente pensabile che anche per quanto riguarda il premier e il presidente della Repubblica questa parte possa pretendere di avere tutto”.
In un momento di profonda crisi come quello attuale “servono interventi sull’economia”, ha proseguito Berlusconi. Uno spiraglio in questo senso, ha ricordato il Cavaliere, è stata l’approvazione del piano di pagamento alle imprese per i servizi svolti nella pubblica amministrazione, voluto da Antonio Tajani, Vice Presidente della Commissione Europea e Commissario europeo per l’Industria e l’Imprenditoria nella Commissione Barroso. Un punto importante, secondo il leader del Pdl, e che può avere “un’influenza ottima sull’economia: è un’iniezione di liquidità”.
Restano però degli interrogativi in sospeso. Chi mettere a capo di questo governissimo? Mercoledì, il giorno prima della consultazione con Napolitano, lo stesso Berlusconi aveva aperto all’ipotesi di un governo guidato dal neo-presidente del Senato Pietro Grasso: esponente del Pd, certo, ma comunque seconda carica dello Stato. A quel punto, se anche Napolitano appoggiasse l’ex procuratore nazionale Antimafia, il gioco passerebbe nelle mani di Bersani: dovrebbe decidere se farsi da parte, oppure rifiutare l’appoggio di Berlusconi. E provare a costruire il difficile accordo con i cinque stelle.
Maria Elena Zanini