“Quanti di voi nel 1992 andavano all’asilo?”: si alzano decine di mani. Maria Latella, giornalista di punta di Sky, ventitré anni fa seguiva per il Corriere della Sera le vicende di Mani Pulite. E oggi si rivolge soprattutto a loro. A quelli che di Tangentopoli e della fine della Prima Repubblica hanno sentito parlare dai propri genitori e che ora hanno l’occasione di rivivere quell’anno cruciale attraverso la serie “1992”, in onda su Sky Atlantic dal 24 marzo.
È questo lo spunto per parlare ancora di Tangentopoli e di quegli anni, il 16 aprile 2015, al Festival internazionale del giornalismo. Al Teatro della Sapienza di Perugia, Goffredo Buccini del Corriere della Sera, Liana Milella di Repubblica e Bruno Manfellotto de L’Espresso si confrontano su quello che è stato il 1992 per la politica, per la società e soprattutto per il giornalismo in Italia.
Con loro c’è Alessandro Fabbri, il 36enne sceneggiatore della fiction nata da un’idea dell’attore Stefano Accorsi: “1992 non vuole essere un documentario – chiarisce subito – ma la storia romanzata degli eventi di quell’anno”. Non solo ManiPulite, quindi, nonostante l’inchiesta del pool di Milano resti sempre sullo sfondo. Tutti sullo sfondo tranne Antonio Di Pietro, accusato all’epoca di protagonismo giudiziario e poi oggetto di feroci critiche in seguito alla decisione di scendere in politica. Decisione che, secondo Buccini, ha contribuito alla crisi di credibilità delle istituzioni italiane insieme alla fuga del segretario socialista Bettino Craxi.
Il rischio è che, di fronte alla mole di inchieste degli ultimi anni, Tangentopoli venga percepita come una storia remota. Cosa è cambiato da allora? “Nella serie Dell’Utri dice che non si può fare business senza la politica. Oggi – fa notare Buccini – non si può fare politica senza business”. Una corruzione che non accenna affatto a diminuire. Anzi, peggiora. “Paradossalmente, la qualità della corruzione è calata. Un tempo – spiega Manfellotto – era un fenomeno legato ai partiti, oggi è il singolo che punta ad arricchirsi illecitamente”.
Ma l’ex direttore de L’Espresso non ci sta a considerare corrotti tutti gli italiani. Per lui il personaggio più riuscito della serie è Bosco, l’incorruttibile leghista della prima ora che tanto stona con le recenti disavventure giudiziarie del partito di Bossi. Buccini invece è più drastico: nessuna palingenesi dopo ManiPulite; “il problema continua a essere lo scarso senso dello Stato degli italiani”, gli stessi che “tifavano per Di Pietro e poi accettavano che Previti venisse nominato guardasigilli”.
E i giornalisti? “All’epoca mi accusarono di essere la cassa di risonanza della Procura – ricorda Liana Milella – ma in generale tutti noi avremmo dovuto scavare più a fondo senza limitarci alla cronaca dei processi”. Per Manfellotto, Mani Pulite segna uno spartiacque nella professione: “Da allora siamo diventati sempre più pigri: preferiamo riportare inchieste altrui piuttosto che condurne di nostre”. Un evento che anche a detta dei protagonisti continua a segnare la società italiana, da un lato impegnata ad accertare le responsabilità dell’epoca e dall’altro, come ricorda Liana Milella, in attesa da 750 giorni che il Parlamento approvi la legge anti-corruzione.
Emiliano Mariotti e Carmela Adinolfi