La Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum elettorale promosso da 8 consigli regionali governati dal centrodestra, dopo otto ore di camera di consiglio nella giornata del 16 gennaio. Il quesito referendario puntava a trasformare in un maggioritario puro l’attuale Rosatellum, abrogando la quota dei parlamentari eletti con il proporzionale. Nel frattempo, da qualche giorno i partiti di maggioranza sono al lavoro su una nuova legge elettorale fortemente proporzionale che va in direzione opposta al quesito referendario. Anche se negli ultimi giorni le forze di opposizione sono sembrate convergere su un ritorno al Mattarellum, come possibile mediazione.

Perché è inammissibile – La sentenza sarà depositata entro il 10 febbraio, ma si fa già sapere che «a conclusione della discussione la richiesta è stata dichiarata inammissibile per l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolatività del quesito referendario nella parte che riguarda la delega al Governo». Giovanni Guzzetta, l’avvocato che difendeva in camera di consiglio la posizione delle 8 regioni che hanno promosso il referendum aveva dichiarato che comunque «questa decisione sarà comunque storica». E lo sostiene per via di tre aspetti: «Il primo è che la decisione si intreccia con una riforma costituzionale. Il secondo è che c’è la legge delega per modificare i collegi elettorali che può essere utilizzata se il referendum passerà. Il terzo aspetto è che si tratta dell’ultima volta che si propone un referendum elettorale, visto che ormai il legislatore ha mangiato la foglia e sa che se formula le leggi elettorali in un certo modo il referendum non si può fare». Invece per il legale Franco Besostri è evidente che la Consulta debba bocciare il quesito, perché «è una congerie di norme di difficile comprensione non solo per il cittadino ma anche per un laureato in giurisprudenza». Per Besostri però non sarebbe sufficiente. «Non saremmo soddisfatti da una semplice inammissibilità. Bisogna dire parole chiare su questioni nodali: le leggi elettorali devono essere necessariamente costituzionali. E non possiamo tenerci una legge elettorale che consente dubbi di incostituzionalità. Se il referendum passasse si creerebbe un vuoto nella definizione dei collegi e la soluzione proposta dai proponenti, che presuppone un intervento legislativo non sta in piedi», ha aggiunto.

Referendum voluto dalla Lega – Il quesito del referendum era stato depositato dal vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, con l’appoggio di 8 regioni governate dal centrodestra, anche direttamente dal Carroccio. In attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, il leader della Lega Matteo Salvini il 15 gennaio si era espresso a difesa del referendum come «strumento di democrazia» che permette agli italiani di «scegliere e votare». Aveva inoltre dichiarato: «Mi auguro che la consulta dia la parola al popolo». Sembra probabile che il quesito venga dichiarato inammissibile, ma in caso contrario in Italia potrebbe entrare in vigore un sistema elettorale maggioritario di collegio puro, simile al first past the post del Regno Unito, dove per vincere il seggio è sufficiente un voto in più rispetto agli altri candidati.

Si riparla di “Mattarellum” – Soltanto il giorno prima, però, era stato lo stesso Salvini a dichiararsi disposto a ritornare al “Mattarellum”, in vigore dal 1993 al 2005 e rimpiazzato da una legge elettorale scritta proprio da Calderoli, il “Porcellum”. Il leader della Lega ai microfoni di Rtl 102,5 l’ha difesa sostenendo che «con questa legge hanno vinto una volta gli uni una volta gli altri. Ha garantito stabilità, è un mix di maggioritario e proporzionale. Usiamo quella e andiamo a votare, poi chi vince vince». Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Giancarlo Giorgetti, il suo braccio destro, in un’intervista al Foglio, in cui si sottolinea il «nome di garanzia» del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, relatore di quella legge elettorale.

Il “Germanicum” della maggioranza – Se da una parte i leghisti insistono per il ritorno al “Mattarellum”, dall’altra i partiti che sostengono il secondo governo Conte, a esclusione di Liberi e Uguali, hanno presentato il 9 gennaio una proposta di riforma elettorale in senso proporzionale con soglia di sbarramento al 5%, subito ribattezzata “Germanicum” per le sue vaghe somiglianze al sistema proporzionale puro tedesco. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, del Movimento 5 Stelle, si è dichiarato soddisfatto per i lavori parlamentari riguardanti la nuova legge: «Ho seguito l’evoluzione della discussione nei gruppi di maggioranza in un clima molto positivo. Ci sarà un proporzionale con diritto di tribuna per i partiti minori e sbarramento al 5%, per dare stabilità al prossimo governo con un modello simile a quello tedesco ma con le dovute differenze, che aiuterà la semplificazione e permetterà la moderazione del linguaggio. Si parlerà di idee e non per avere solo un voto in più». L’iter parlamentare è stato avviato il 14 gennaio in commissione Affari Costituzionali alla Camera, con i relatori Emanuele Fiano del Partito Democratico e Francesco Forciniti dei 5 Stelle che hanno illustrato il disegno di legge presentato da Giuseppe Brescia, presidente della commissione. Il diritto di tribuna servirebbe a salvaguardare la rappresentanza dei partiti non in grado di superare lo sbarramento. Chi portasse a casa il quoziente almeno in due regioni alla Camera o in una al Senato potrebbe partecipare alla ripartizione dei quozienti proporzionali, ottenendo così un seggio.