foto leggeIn principio fu Mattarellum. Di lì, a seguire, Tatarellum, Vassallum e Porcellum. Fino all’ultimo Italicum, la nuova legge elettorale appena approdata alla Camera, frutto del discusso accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Da più di vent’anni, ormai, la lingua italiana è costretta a fare i conti con curiosi “latinismi elettorali”, a dimostrazione di come la politica – e come lei, forse, soltanto il calcio – sia tra gli spazi più fertili per l’italica favella. Quello in cui le parole nascono e si reinventano con maggiore facilità: si pensi, per citare soltanto alcuni esempi, a rimpasto, inciucio, pacificazione o rottamazione. E ancora: ribaltone, esodato, pentastellato.

«Prima si cercava di parlare in pubblico meglio di come si mangiava», ha scritto il linguista Vittorio Coletti, «oggi ci si vanta di parlare come si mangia (col sottinteso che si mangia male)». Ma lingua, d’altronde, è ciò che siamo e come l’uomo, e insieme a questo, si trasforma.

In principio, si diceva, fu il Mattarellum. È del 1993 il primo “pseudolatinismo elettorale”. O meglio: fu in quell’anno che vennero approvate le leggi 4 agosto 1993 n.276 e n. 277, meglio conosciute, dal nome del suo ideatore Sergio Mattarella, come Legge Matterella, riforma elettorale che introdusse in Italia un sistema di voto maggioritario per il 75 per cento, proporzionale per il restante 25. La parola “Mattarellum” fu coniata in seguito, con piccante ironia, da Giovanni Sartori, che denunciò le “illusioni” del sistema e l’impossibilità di ottenerne, automaticamente, il bipolarismo. Così, quando nel 1995 il Parlamento approvò una nuova legge elettorale maggioritaria anche per le regioni, venne da sé che la si dovesse chiamare “Tatarellum”, essendo Pinuccio Tatarella, parlamentare della fu Alleanza Nazionale, il suo primo firmatario.

È però con la Legge Calderoli, la n. 270 del 21 dicembre 2005, che l’uso dello pseudolatino ha trovato la sua consacrazione. Il suo principale ideatore, l’allora ministro per le Riforme Roberto Calderoli, la definì “una porcata”. «L’ultima malefatta di Berlusconi è stata il Porcellum, la legge elettorale varata sotto elezioni che il suo stesso estensore ha definito una “porcata”», scrisse ancora una volta Giovanni Sartori sul Corriere della Sera. Il neologismo piacque, tanto che, se forse di questa legge riusciremo prima o poi a liberarcene, difficilmente verrà estirpata la parola che la definisce. “Porcellum” piacque a tal punto che la sua paternità è ancora contesa: «Magari ci sono più inventori contemporanei, ma per me nacque il venerdì dopo le elezioni del 2006 in un dialogo con Sebastiano Messina, della Repubblica», ha confessato di recente in un’intervista a Termometro Politico Antonio Agosta, docente di Scienza politica all’università di Roma Tre. «Roberto Calderoli aveva già definito la “sua” legge “una porcata”, così coniai il termine Porcellum». Come dire, “l’irresistibile fascino delle parole”, se è vero che la legge elettorale forse più criticata della storia della Repubblica porta un nome, invece, addirittura conteso.

Per questa strada oggi, dopo vent’anni, si è arrivati all’Italicum. Nel mezzo, anche la rapida parentesi del Vassallum, detto pure Veltronellum, la proposta di legge elettorale formulata nel 2007 dal politologo Salvatore Vassallo, presto naufragata. Che all’Italicum tocchi la stessa sorte del Vassallum è ormai piuttosto improbabile. Perché entri in vigore occorre però aspettare il via libera della Camera (e le sorprese, si sa, non mancano mai). Un nome, però, la legge del patto “Renzusconi” – altro neologismo molto in voga – lo ha già: stavolta l’ha coniato direttamente Matteo Renzi. E siccome le discussioni (più importanti) sulla sostanza della legge evidentemente non bastano, si litiga anche sulla sua forma: «Italicum proprio non mi va. Sa di treno. Al momento proporrei Bastardellum», ha scritto il solito Sartori. «Habemus il Renzellum», ha invece tuonato Pier Ferdinando Casini. Peccato che tra il dire e il fare, stavolta, ci sia di mezzo il destino di un Paese.

Giulia Carrarini