La scheda gialla consegnata per ultima in questa tornata elettorale ha l’obiettivo di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza necessari per poter fare richiesta di passaporto italiano. L’idea di portare la legge sulla cittadinanza del 1992 alle urne è stata di Riccardo Magi, segretario del partito centrista +Europa. In poco più di trenta giorni, tra agosto e settembre dell’anno scorso, +Europa insieme ai Radicali, aiutati da numerosissime associazioni così come da personalità dello spettacolo come Ghali e sportivi come Julio Velasco, hanno raccolto le 500mila firme necessarie per il referendum. Un successo notevole di una campagna definita «esplosiva» dal sindaco di Bologna, Matteo Lepore, che – come tutto il mondo dem – interpretava questo entusiasmo come un segnale di malcontento verso l’operato del governo Meloni.
L’entusiasmo olimpico – L’iniziativa, sorta dopo le Olimpiadi di Parigi, era nata sull’onda dei successi azzurri, ottenuti molto spesso grazie a immigrati di seconda generazione. Le medaglie olimpiche di Zaynab Dosso, Andy Díaz e molti altri atleti figli di “nuovi” italiani avevano riportato all’ordine del giorno le riflessioni su chi è e chi non è cittadino del nostro Paese. L’opposizione ha subito preso la palla la balzo sviluppando la proposta referendaria. Le sottoscrizioni, iniziate a fine agosto e terminate già il 24 settembre, avevano superato il numero minimo, generando talmente tanto traffico sul sito ministeriale dedicato da mandarlo in tilt per diverse ore. Il sostegno del Partito Democratico si è fatto prima solamente personale con Elly Schlein che ha sostenuto la raccolta firme e solo successivamente si è esteso a tutto il Pd. I dem hanno aspettato alcuni giorni prima di farsi avanti visto che, per ironia della sorte, negli stessi giorni in cui Magi raccoglieva il forte sostegno popolare, in Parlamento il Pd presentava una proposta di legge in materia di cittadinanza, un misto tra Ius Soli e Ius Scholae (in cui erano richiesti cinque anni di frequenza scolastica). La fermezza della maggioranza, compatta nel dire “no” all’iniziativa si era fatta sentire chiaramente con il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa: «Ci mancava il sostegno di Ghali. La legge va bene così e non si deve assolutamente toccare». Il mondo dem e centrista si è ricompattato quasi senza distinguo già dai primi giorni di ottobre, dietro il “Sì” al referendum. Un’anomalia rispetto agli altri quesiti referendari. Pieno sostegno già in settembre da Italia Viva, Azione e Avs. Più tardivo e meno chiaro il parere del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che solo più tardi ha deciso di lasciare libertà ai suoi elettori.
La burocrazia – La proposta, in questi giorni sottoposta agli italiani, intende abrogare parte della legge del 1992. Lo scopo è quello di ammodernare un processo profondamente influenzato dai numerosi flussi migratori che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni in Italia. La legge, definita dal segretario di +Europa «ingiusta, crudele e incivile», presenta in effetti caratteristiche piuttosto restrittive rispetto al resto d’Europa. Oltre ai canonici dieci anni richiesti dalla legge n. 91 del 1992, molto spesso il richiedente è costretto ad attendere ulteriore tempo per l’iter burocratico: circa due o tre anni aggiuntivi. Esistono inoltre alcune discriminanti legate al reddito, spesso difficili da soddisfare, soprattutto per quei ragazzi da poco maggiorenni e figli di cittadini non italiani impegnati a frequentare l’università. Queste difficoltà sono riportate con chiarezza nelle testimonianze dei giovani intervistati da VD News, o nella storia travagliata di Rada Koželj, artista croata e non ancora italiana, raccontata da Rivista Studio. La sconfitta per mancato raggiungimento del quorum, che appare probabile, lascerebbe le cose come stanno, tradendo quell’entusiasmo estivo che aveva fatto ben sperare i 2,5 milioni di stranieri in attesa di naturalizzazione.