Da alcuni giorni il padre di Matteo Renzi, Tiziano, e quello dell’attuale vicepremier Luigi Di Maio, Antonio, sono al centro delle polemiche dopo la pubblicazione di inchieste giornalistiche su presunti pagamenti in nero effettuati nelle rispettive aziende di famiglia.
Il caso di Tiziano Renzi – La settimana scorsa il quotidiano La Verità ha pubblicato la testimonianza di Antonio Santoni, dipendente negli anni Novanta della Speedy Florence, una delle ditte di proprietà del padre di Matteo Renzi. Nell’articolo di Giacomo Amadori, Santoni ha dichiarato di aver lavorato in nero come strillone per l’azienda della famiglia dell’ex premier, iniziando a smistare all’alba le copie dei quotidiano dategli in consegna dallo stesso Matteo. «Non ho mai firmato nulla né presentato alcun documento – ha raccontato l’uomo al quotidiano – In azienda girava solo contante».
Le dichiarazioni di Santoni sono state seguite da un’altra testimonianza rilasciata da un suo collega, che però ha preferito rimanere anonimo. La fonte ha detto «di aver lavorato al nero per un paio d’anni guadagnando fino a 700mila lire, cifra ridotta a 500 quando Tiziano Renzi capì che conveniva annullare i pagamenti fissi». La Verità ha anche rivelato che nel 1998 la famiglia Renzi ha ricevuto due multe dall’Inps: una da 35 milioni di lire per la Chil Post, un’altra azienda di proprietà della famiglia rignanese, e una da 1 milione per la Speedy Florence. Dal suo profilo Facebook, Tiziano Renzi ha parlato di «ennesima diffamazione», dicendo di voler agire legalmente contro il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro e dichiarando che seguiranno verifiche con l’Agenzia delle Entrate per chiarire la vicenda.
Il caso di Antonio Di Maio – Antonio Di Maio, padre del leader pentastellato Luigi, gestisce un’azienda edile da oltre 30 anni. Secondo una serie di servizi andati in onda nel programma tv Le Iene, avrebbe pagato in nero alcuni operai della sua ditta. Uno di loro, Salvatore Pizzo, ha dichiarato di aver lavorato senza contratto per Antonio Di Maio tra il 2009 e il 2010, quattro anni prima dell’ingresso del figlio Luigi in azienda.
Nell’intervista, Pizzo ha dichiarato che dopo un infortunio sul lavoro, fu lo stesso Luigi Di Maio a suggerirgli di dire che si era fatto male in casa per non mettere in difficoltà suo padre col fisco. L’operaio, invece, raccontò la verità e dopo la convalescenza fu licenziato. Lo stesso Pizzo ha raccontato che dopo essersi rivolto alla Cgil, «fu riassunto con una “sommetta” di 500 euro, per poi essere licenziato di nuovo». Raggiunto dalle Iene, Luigi Di Maio sé è detto disponibile a mostrare le carte e ha dichiarato che «non può essere accaduto perché solo dal 2012 ho fatto parte dell’azienda. Se fosse vero – ha poi aggiunto – sarebbe grave».
L’inchiesta si è allargata fino ai presunti abusi edilizi commessi da Antonio Di Maio nei terreni di sua proprietà nel comune di Mariglianella per la costruzione di magazzini e di una villa con patio e piscina. Nessuna delle proprietà è registrata al catasto e parte di queste sono state sequestrate dalla procura di Nola. Una delle fonti, Mimmo, ha detto che è stato lo stesso Luigi ad aiutare suo padre nella logistica dei terreni abusivi. Antonio Di Maio ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera dove dice di di assumersi «la responsabilità degli errori» e che il figlio «non sapeva nulla». Rispetto alle vicende cui è coinvolto Tiziano Renzi, Antonio Di Maio ha detto che «sono differenti perché Luigi ha preso subito le distanze, garantendo trasparenza».
La serie di inchieste de Le Iene sono state seguite da una campagna di fake-news nei confronti della testimonianza di Pizzo e da minacce di morte a Filippo Roma, co-autore del servizio. Lo stesso Luigi Di Maio si è detto solidale con la “Iena”.