«Io non ho mai chiesto la conta in Aula, il Premier ha detto ‘ci vedremo in aula’, non siamo noi a cercarla. Se ora Conte e Casalino la vogliono spero solo che abbiano fatto bene i conti». Con queste parole a Rtl 102.5, Matteo Renzi ha inaugurato la settimana politica, che si preannuncia essere decisiva per le sorti del Governo: nonostante l’ex premier abbia recentemente confermato la disponibilità di Italia Viva all’approvazione del Recovery Plan, non altrettanto certo appare il futuro dell’attuale esecutivo, con la minaccia della crisi politica tutt’altro che rientrata. D’altra parte, nessuna smentita è arrivata dall’ex premier rispetto al retroscena riportato da La Stampa su una telefonata ricevuta dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante le quale sarebbe stato esortato da quest’ultimo a non far dimettere le sue ministre e a non aprire la crisi prima dell’approvazione del Recovery Plan. Ad un mese dalle prima parole di sfida del senatore di Italia Viva, sono quindi ancora molti i nodi da sciogliere per permettere al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, se non di ritrovare il sereno, almeno di superare la tempesta governativa.

8 dicembre, il veto sul Recovery Plan all’origine dello scontro – È l’8 dicembre, il Consiglio dei ministri sul Recovery plan salta a causa del veto posto da Renzi: l’oggetto del contendere è la decisione di Conte di affidare la gestione dei fondi in arrivo dall’Ue ad una task force guidata dal Governo e composta da sei manager pubblici. Il disaccordo del partito renziano prende voce nella parole della ministra per le Politiche per la famiglia, Elena Bonetti, durante un punto stampa tenuto prima di entrare a Palazzo Chigi: «Costruire una struttura parallela di cui il Parlamento non sa nulla è evidente che è un modo per esautorare il Paese dalla progettazione del proprio futuro». L’indomani, il 9 dicembre, è lo stesso Renzi, in un intervento al Senato, a mettere in discussione l’intero impianto del Piano di rilancio, così come è stato presentato nelle bozze presentate da Conte, quelle «100 pagine» elaborate – tuona Maria Elena Boschi – senza prima passare per una discussione parlamentare.

Gli ultimi giorni di dicembre, il “Ciao” di Renzi al piano del Governo – Il 28 dicembre l’ex premier passa dalle parole alle azioni e durante una conferenza stampa presenta un piano di 63 punti per modificare il testo prodotto dal Governo: è il cosiddetto piano “Ciao” (Cultura, Infrastrutture, Ambiente e Opportunità). Ma se le intenzioni di Renzi – che al momento vanta 40 parlamentari (di cui sarebbero decisivi i 17 senatori) e due ministre, ovvero Bonetti e Bellanova alle Politiche Agricole – sono chiare, quando annuncia che in caso di mancato accordo sul Recovery Plan «è evidente che faranno senza di noi e le ministre (Elena Bonetti e Teresa Bellanova) si dimetteranno», altrettanto dura è la risposta di Conte: gli «ultimatum non sono ammissibili», parole con le quali il presidente del Consiglio sembra escludere la possibilità di un rimpasto e annunciare la conta in Parlamento, qualora venisse meno la fiducia.

Dal profilo Twitter di @matteorenzi (repost di un tweet di @claudiocerasa)

Dal 31 dicembre all’8 gennaio, le parole di Mattarella e le modifiche al Recovery – Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non rimane con le mani in mano e coglie l’occasione del discorso dell’ultimo dell’anno per esortare all’unità, ricordando come il 2021 dovrà essere un «tempo di costruttori» e non il tempo «per inseguire illusori vantaggi di parte», con evidente riferimento – sebbene non esplicitato – al caos politico attuale. Intanto, il 6 gennaio, arriva un primo tentativo di riavvicinamento da parte del premier che in un lungo post Facebook annuncia le modifiche fatte al Recovery Plan in seguito alle sollecitazioni delle forze di maggioranza, che definisce «contributi utili ad arricchire e migliorare il Piano». La risposta dei renziani accenna ad una distensione dei toni: «Sembra aprire alle nostre richieste sul merito ma restiamo in attesa di leggere le carte» commentano fonti vicine al partito. Tuttavia, solo qualche giorno dopo, l’8 gennaio, in occasione del tavolo di maggioranza convocato per discutere del nuovo Recovery Plan, Davide Faraone, Bellanova e Boschi attaccano: «Il documento sul Recovery Plan non c’è: c’è una sintesi di 13 pagine e una tabella. Il Paese ha bisogno di serietà e ciò comporta leggere e studiare un testo completo». D’altronde, lo stesso 6 gennaio, era stato lo stesso Renzi a ribadire i toni di sfida attraverso una missiva inviata alla maggioranza tramite il dem Goffredo Bettini: un elenco di 30 punti da chiarire per poter proseguire con il governo di Conte. Tra questi appare centrale l’ambito della difesa per due punti: i rapporti con la Nato e l’insistente richiesta affinché il premier lasci la delega ai servizi segreti.

La settimana dall’11 al 17 gennaio – Ancora quindi le certezze si limitano alle promesse di Renzi di approvare il Recovery Plan, che dovrebbe realizzarsi nel Cdm atteso per martedì 12 gennaio. Nella stessa settimana, le cose potrebbero cambiare nuovamente corso, in seguito al tavolo per il patto di legislatura e il rimpasto, annunciato da Conte, in segno di apertura a Renzi. Ed è proprio all’ex premier che spetta la prossima mossa, dalla quale dipenderanno le sorti dell’esecutivo e di Conte stesso, come d’altronde provano le sue dichiarazioni di inizio settimana: «Non ci importa nulla delle poltrone, ma non si buttino via i soldi che non torneranno mai più. O li spendiamo bene o spendeteli senza di noi. Io voglio avere la coscienza a posto» ha detto Renzi a Rtl 102.5. In definitiva, il cielo su Roma è tutt’altro che limpido e, a quanto pare, non c’è previsione affidabile in grado di anticipare cosa accadrà dopo l’approvazione di «questo benedetto Recovery Plan», citando le parole dello stesso Renzi.