I servizi segreti italiani “non hanno mai partecipato, né hanno mai ricevuto richiesta di partecipare,
ai programmi Prism e Tempora”. Con queste parole Enrico Letta ha difeso l’operato del governo e degli apparati di sicurezza. Il premier ha riferito alla Camera sul caso “Datagate”, che riguarda la sorveglianza telematica dei cittadini americani e non da parte dell’intelligence statunitense. Di fronte a una platea di circa 60 onorevoli, ha rassicurato deputati e cittadini sugli scarsi effetti che il programma della National Security Agency americana avrebbe avuto sulla vita pubblica italiana. “Non risultano compromissioni della sicurezza delle comunicazioni, né dei vertici del Governo, né delle nostre ambasciate”, ha aggiunto il presidente del Consiglio.
Secondo Letta, occorre massima chiarezza con gli Stati Uniti e fiducia nella cooperazione tra le strutture di sicurezza, da mesi al centro di quello che è diventato lo scandalo più scottante dell’era digitale: la raccolta di metadati telefonici (numero del chiamante e del chiamato, geolocalizzazione, durata delle chiamate, numeri di serie dei telefoni coinvolti) di milioni di utenti Verizon, effettuata con una dubbia autorizzazione giudiziaria. Tramite il programma Prism, l’Nsa ha accesso alle banche dati di almeno nove colossi web (Facebook, Google, Apple, YouTube, Skype, Microsoft e altri) da cui estrarre chat audio e video, fotografie, e-mail, documenti e log di connessione. Qui in gioco ci sarebbero anche di contenuti delle comunicazioni, non solo di metadati: basta che una delle due parti che comunicano sia fuori dal territorio USA.
Letta, al fianco del ministro della Difesa Mario Mauro, ha provato a spiegare anche come e in quale misura gli Stati Uniti abbiano comunicato al governo ciò che stava accadendo. “Fin da luglio 2013 – ha raccontato – le autorità statunitensi ci hanno assicurato che gli organismi informativi di quel Paese non hanno rivolto in via sistematica i propri strumenti di ricerca contro il nostro Paese”. Il premier ha rivelato un ulteriore dettaglio: il sottosegretario di Stato Usa John Kerry gli avrebbe confermato di persona “la volontà del presidente degli Stati Uniti di evitare azioni di sorveglianza generalizzata sulle comunicazioni di istituzioni e cittadini di Paesi alleati”.
La difesa dell’operato dei nostri Servizi segreti è categorica: “I nostri agenti non effettuano intercettazioni di dati se non nei modi previsti dalle norme del nostro ordinamento. Escludo l’esistenza di accordi che consentano l’acquisizione da parte di terzi di dati relativi alle comunicazioni nazionali”. Le rivelazioni di Snowden dicono però un’altra cosa: l’Italia avrebbe concesso l’uso delle dorsali sottomarine di cavi in fibra ottica. Quelle attraverso le quali transiterebbe un’enorme mole di dati. Un caso, per adesso, mai confermato né smentito dal premier.
Davide Gangale