L'aula del Senato

L'aula del Senato durante la discussione sul ddl diffamazione a mezzo stampa

Il Senato ha detto sì al “salva-direttori”. E il governo ha finito per essere battuto. Ma la battaglia sul ddl è ancora lontana dalla conclusione. Il voto conclusivo sull’articolo uno, il cuore del provvedimento, che contiene la postilla “salva-direttori”, è stato rinviato alla seduta di lunedì 26.

La norma, inserita nel ddl Sallusti dal relatore e senatore Pdl Filippo Berselli, prevede che per il reato di diffamazione il giornalista vada in carcere fino a un anno, mentre al direttore e al vicedirettore responsabile tocchi solo il pagamento di una multa fino a 50mila euro.

L’aula ha approvato il salva-Sallusti con 122 sì, 111 no e 6 astenuti. «Siamo alle tragicomiche finali», è il commento del coordinamento delle Associazioni regionali di stampa di Liguria, Veneto, Trentino Alto Adige, Val d’Aosta, Puglia, Basilicata e Molise, che in una nota biasima la decisione del Senato di «creare la figura del direttore irresponsabile e di mandare in galera i cronisti». Molto critico anche l’Idv. Il responsabile Giustizia del partito di Antonio Di Pietro, riferendosi al carcere per il giornalista e alla multa per i direttori, definisce «invotabile» la norma proprio a causa di tali «mostriciattoli giuridici».

Sul voto finale, in programma come detto lunedì 26, il Pd ha ripresentato domanda di voto segreto, che «era già stata dichiarata ammissibile», avverte il vicepresidente di turno Vannino Chiti (Pd). Il Partito Democratico spera ancora, con questo metodo, di affossare un provvedimento che non condivide.

Lucia Maffei