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La Cassa di Risparmio di Ferrara, una delle banche al centro del progetto del governo

Mettono mano al portafoglio senza entusiasmi Intesa, Unicredit e Ubi. A obbligarle il provvedimento “salva-banche” emanato dal governo Renzi il 23 novembre scorso. Un decreto legge che impone agli istituti di credito “sani” di mettere sul piatto 3,6 miliardi di euro totali per salvare i colleghi “malati”. Così il governo intende superare il dissesto di Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio e Cassa di risparmio di Chieti.

Un progetto che ha subito incontrato le resistenze delle forze politiche. L’opposizione ha parlato di ricorso improprio alla decretazione d’urgenza e di violazione dell’articolo 47 della Costituzione sulla tutela del risparmio. È infatti previsto per martedì 1 dicembre alla Camera l’esame delle pregiudiziali contro il provvedimento.Una questione posta da Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega Nord.

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Antonio Patuelli, 64 anni, presidente dell’Associazione bancaria italiana

Anche gli istituti di credito hanno criticato con forza la manovra. Una «legnata per tutti», sottolinea Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione bancaria italiana, «perché l’importo dei salvataggi è caricato tutto sul bilancio 2015, mentre se fosse stato autorizzato l’intervento del Fondo interbancario, in termini di bilancio sarebbe stato frazionato in più anni. La risoluzione bancaria che non sembra avere bisogno del consenso delle banche».

Al netto delle critiche, il Fondo di Risoluzione sarà lo strumento che realizzerà de facto il salvataggio. L’impegno finanziario immediato sarà così suddiviso: circa 1,7 miliardi a copertura delle perdite delle banche originarie; circa 1,8 miliardi per ricapitalizzarle e circa 140 milioni per dotare la banca “cattiva” del capitale minimo necessario a operare. Ecco quindi quei 3,6 miliardi che fanno storcere il naso alle banche “buone”.

di Diana Cavalcoli