Da Washington, dove si tengono gli annuali meeting di Fmi e Banca Mondiale, il ministro dell’Economia Giovanni Tria prova a rassicurare i commissari europei, i mercati e gli investitori internazionali, ma i nodi rimangono tutti sul tavolo: flat tax e clausole di salvaguardia. Sulla prima, il titolare del Tesoro ammette di aver scritto in passato una riforma di riduzione delle tasse ma poi sembra avvicinarsi alle posizioni del vicepremier Luigi Di Mio e distaccarsi da quelle di Matteo Salvini: «Occorre ridurre il numero delle aliquote in modo progressivo», ha detto domenica in collegamento dagli Stati Uniti con In Mezz’Ora. Sulle clausole di salvaguardia per evitare l’aumento dell’Iva in autunno invece prova a rassicurare i partner stranieri: «L’Italia rispetterà gli impegni di bilancio – ha detto Tria in un’intervista con la televisione americana Cnbc – e sull’aumento dell’Iva troveremo una soluzione bilanciata». Per adesso, quindi, i problemi rimangono insoluti. A metà settimana i vertici del governo italiano (Conte, Di Maio, Salvini e Tria) si incontreranno di nuovo a Roma per trovare la quadra sui numeri, mentre il Def debutta oggi in Parlamento: le commissioni Bilancio di Camera e Senato iniziano con le audizioni con Confindustria, sindacati, Istat e Banca d’Italia.

Il nodo dell’aumento Iva – Per rispettare le regole sul deficit e compensare una crescita molto più bassa delle aspettative (+0,2% invece che +1%), una delle strade da percorrere nella prossima legge di stabilità potrebbe essere proprio quella di far scattare l’aumento dell’Iva che porterebbe 23 miliardi di euro nelle casse dello Stato: questo “gruzzoletto” potrebbe essere utilizzato per finanziare la flat tax e le altre misure economiche previste dal governo. E Tria sarebbe favorevole a questa prospettiva, come ha ribadito a Washington: «Ho un’opinione accademica diversa dalla maggioranza – ha detto – ma non posso confonderla. Io sono per lo spostamento dell’imposizione sui consumi piuttosto che sui redditi perché lo considero più favorevole alla crescita». Di Maio e Salvini però sono contrari: l’idea di tassare i consumi degli italiani in maniera lineare viene spesso vista dai cittadini come una manovra profondamente ingiusta (perché non progressiva) e quindi impopolare. D’accordo con i due vicepremier, invece, Tria da Washington ha ribadito che non ci sarà nessuna patrimoniale: «Il rischio non c’è – ha detto – io sono molto contrario perché avrebbe un impatto distruttivo su crescita e consumi».

Cosa dicono i numeri – Ora quindi resta il nodo delle cifre che non tornano. Una misura come la flat tax, secondo le stime dei consiglieri leghisti, costa tra i 12 e i 15 miliardi. In base a una simulazione di febbraio del Mef, invece, circa 60. Tutto dipende da quante aliquote saranno introdotte: nelle bozze del Def circolate negli ultimi giorni sono due, una al 15 e una al 20%. Costo: intorno ai 20 miliardi. E come trovarli? Nel Def le uniche coperture possibile sono indicate con i tagli di spesa ai ministeri (la tanto agognata spending review) per un valore totale di 13,5 miliardi. Ammesso e non concesso che ci si riesca, sono ancora pochi. Escludendo l’aumento dell’Iva, nel Def c’è un numero chiave su cui stanno riflettendo i leader di governo: ogni anno in Italia l’evasione fiscale (il cosiddetto tax gap) si attesta a 73 miliardi di cui 30 concretamente recuperabili. È in questo bacino che potrebbero essere trovate le risorse per la prossima manovra anche se ci sono due ostacoli: la Commissione europea che tende sempre a non fidarsi del “recupero dell’evasione” (sovrastimata da tutti i governi) e le elezioni europee del prossimo maggio.