Niente carcere per i giornalisti, ma multe fino a 50mila euro in caso di diffamazione e conto più salato per chi sporge querela in modo temerario. Sono alcuni degli elementi di novità del disegno di legge (ddl) presentato al Senato da Alberto Balboni (Fratelli d’Italia), presidente della commissione Affari costituzionali, l’1 marzo 2023. Il ddl propone una serie di modifiche alla legge sulla stampa del 1948, al codice penale e al codice di procedura penale.

L’aula di Palazzo Madama (Wikimedia Commons/Fratello Gracco)
Diffamazione, più multe e meno carcere – Se la proposta di legge fosse approvata, i giornalisti rischierebbero multe fino a 50mila euro. La sanzione più dura scatterebbe in alcuni casi di diffamazione, cioè quando il giornalista diffonde fatti non veritieri sapendo che sono falsi. Se manca la consapevolezza della falsità, le pene previste dalla proposta di legge vanno da un minimo di 5mila a un massimo di 10mila euro. La legge sulla stampa, quando fu approvata nel 1948, aveva stabilito una multa di 500mila lire (250 euro). Sarebbe invece abrogata la detenzione da uno a sei anni prevista per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Il ddl riformerebbe con la stessa logica anche l’articolo 595 del codice penale sulla diffamazione: via la reclusione fino a due anni, sostituita da multe da 3mila a 15mila euro.
Querela temeraria, il conto sale – Agli autori di querele temerarie, sconfitti al processo, non toccherebbe più solo il pagamento delle spese processuali, già previsto dall’articolo 427 del codice di procedura penale. Il ddl di Balboni propone di aggiungere un versamento, compreso tra 2mila e 10mila euro, alla cassa delle ammende, l’organismo del ministero della Giustizia che utilizza i fondi raccolti da sanzioni di vario tipo per supportare alcune categorie di persone (le vittime di reati, i carcerati e le loro famiglie).
Rettifiche, regole anche per i giornali online – Il ddl vorrebbe intervenire anche sull’elenco delle pubblicazioni tenute a rettificare o smentire i contenuti inesatti o offensivi, inserendovi in modo esplicito i giornali online. Al pari dei quotidiani cartacei, le testate digitali dovrebbero quindi correggersi entro due giorni e dare alla rettifica le stesse caratteristiche grafiche del pezzo originale. Se la smentita non avvenisse, o non fosse conforme alle regole, la sanzione andrebbe da un minimo di 5.165 euro a un massimo di 51.646. In alcune circostanze, infine, il giudice potrebbe ordinare la rimozione dal web dei contenuti diffamatori. Il punto di riferimento, per i diffamati e i diffamatori dovrebbe essere un giornalista addetto alla gestione dei reclami che i servizi di telecomunicazioni con oltre 500mila iscritti avrebbero l’obbligo di scegliere.
Le posizioni – Per Balboni, primo firmatario, «la parte più importante di questo ddl è la previsione della non punibilità del reato di diffamazione ogni qualvolta il giornalista, rendendosi conto di aver sbagliato, pubblica una smentita. Si tratta infatti di un reato di opinione, è giusto che sia punito ma solo con una pena pecuniaria che adeguiamo». L’Ordine dei giornalisti fa sapere attraverso il suo sito ufficiale che valuterà con attenzione la proposta.