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Tutti temono la scissione, ma fra i vertici del partito nessuno è più disposto a dialogare. L’iter della frammentazione del Pd è irreversibile. Una settimana dopo gli interventi al palazzo dei Congressi in via Alibert a Roma, si terrà la nuova direzione nazionale. Nel pomeriggio del 21 febbraio non ci saranno né Matteo Renzi, né i principali esponenti della minoranza come Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza. Tutti attribuiscono al segretario dimissionario la responsabilità di una scissione imminente, ma molti fra i democratici suggeriscono di evitare uno strappo che non servirebbe a nessuno.

I falchi – Per Romano Prodi qualsiasi divisione rappresenta un suicidio. Per Enrico Letta «non deve finire così», ha scritto sulla sua pagina Facebook. «Renzi parla di ragionevolezza, ma è evidente che nelle sue parole siano prevalse logiche di potere. Una scissione del partito sarà un successo solo per Beppe Grillo e il centro-destra». Quel che deciderà di fare Michele Emiliano, in disaccordo con Renzi ma tentato di sfidarlo alle prossime primarie, resta un’incognita. Roberto Speranza è invece convinto che la scissione sia già in corso e non è disposto a fare passi indietro, pur di difendere i principi del Pd. Drastico il governatore della Regione Toscana Enrico Rossi che vuole restituire la tessera di partito per la perdita di valori di «una sinistra che non è più sinistra».

Le colombe – Parere differente per Piero Fassino, che non si rassegna e auspica un punto di contatto prima di prendere «decisioni troppo impulsive». Gianni Cuperlo, intervistato dal quotidiano Repubblica, intende rimanere, ma preferisce un’altra guida. Ripone così le proprie speranze sul ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Sono un uomo di sinistra e rimarrò fedele ai valori del mio partito – ha detto –  Negli ultimi mesi la leadership è stata inadeguata. Stimo Orlando e penso che dopo una riflessione sulle ultime divisioni del partito, il congresso che verrà penso si possa vincere, non dico partecipare, ma vincere!». Rosy Bindi è fra i più moderati e spera che Renzi possa aprire alla minoranza all’ultimo momento. Anche Lorenzo Guerini auspica un ripensamento da parte di tutti.

L’iter congressuale – Il viaggio verso il congresso inizierà con la direzione che dovrà gestire il percorso verso una nuova leadership. Questa prevede la nomina della commissione che definirà tappe e tempi del percorso congressuale. I lavori saranno gestiti da Matteo Orfini, presidente del Pd. Assente sia Matteo Renzi, che resterà a Firenze ed è già proiettato sulla campagna congressuale, sia i bersaniani. Nel 2013 il congresso durò quasi tre mesi, seguendo i principi dell’art.9 dello Statuto di partito. Per la sottoscrizione delle candidature del nuovo segretario occorrerà almeno il consenso del 10%dell’assemblea nazionale uscente.

Primarie – Ad aprile potrebbero già esserci le primarie, che vedranno sfidarsi i tre candidati segretario che abbiano ottenuto il consenso del maggior numero di iscritti. Almeno il 5% dei voti in ogni caso e il 15% in almeno cinque regioni e province autonome. Le conseguenze di una scissione tra renziani e minoranza faciliterebbero la rielezione dell’ex segretario, ma ridimensionerebbe in numeri del Pd sia in Parlamento, sia nei Consigli regionali.