È con un consenso plebiscitario – 860 sì, 2 no e 4 astenuti – che il Partito democratico si è affidato al nuovo segretario, Enrico Letta, durante l’Assemblea nazionale del 14 marzo. Un’investitura che apre per il partito una fase politica nuova e decisiva, che l’ex presidente del Consiglio ha inaugurato con un discorso programmatico carico di novità.

I problemi interni – Nel giorno dell’elezione di Letta, il Pd appare monolitico. Per qualche ora è sembrato che non esistessero più le correnti grandi e piccole a cui Nicola Zingaretti non ha risparmiato aspre critiche nel momento dell’addio. E proprio sulle divisioni interne ha insistito il nuovo leader del Nazareno. Il messaggio è stato chiaro: «Non seguirò la geografia correntizia, che è legata solo a sete di potere. Un partito che lavora per correnti non funziona». Come chiara è l’intenzione di lavorare per rifondare un Pd «diviso e in grande difficoltà. Non serve un nuovo segretario, serve un nuovo partito». Senza il rispetto reciproco interno non si andrà lontano, Letta lo sa bene; del resto, fu proprio un “compagno”, Matteo Renzi, a scalzarlo da Palazzo Chigi. Il neosegretario ha citato Pirandello: non maschere ma volti, questo servirà d’ora in poi al Pd. Il primo cambio di passo in questo senso potrebbe avvenire nei prossimi giorni, con la sostituzione dei capigruppo Graziano Del Rio e Andrea Marcucci.

Il programma delle aperture – Definiti i nuovi canoni dei rapporti interni, Letta si è concentrato sul programma politico del nuovo Pd. La parola d’ordine è «apertura»: alle donne, anzitutto. Perché, se è vero che il partito è presieduto da Valentina Cuppi e la sua vice è Debora Serracchiani, è vero anche che quella democratica è l’unica compagine governativa senza nomi femminili. Il tema delle donne sarà centrale nel futuro prossimo del Pd, e Letta lo ha sottolineato: «Se ci sono qui io e non una segretaria, significa che c’è un problema». Prioritario sarà anche il coinvolgimento dei giovani, tanto che il neosegretario ha lanciato la proposta del voto ai sedicenni. In generale – ed è stato uno dei passaggi più sferzanti del discorso – Letta ha voluto scuotere il «partito delle Ztl» che pare avere dimenticato le proprie radici storiche, l’importanza di stare in mezzo alla gente: «Non dobbiamo per forza stare al governo. Se diventiamo un partito di potere moriamo». Cambiare o perire. Tertium non datur. Ma la rivoluzione lettiana passa anche dal ritorno a battaglie storiche dimenticate. Il nuovo segretario ne ha individuate due da cui ripartire: lo Ius Soli, «una normativa di civiltà», e la riforma elettorale maggioritaria – «il Mattarellum era un’ottima legge, toglierla è stato un errore clamoroso» ha affermato in un’intervista a Fabio Fazio.

Il nodo dei 5 Stelle – Sempre in ottica elettorale, nell’ora abbondante del discorso Letta ha tracciato anche la linea dei rapporti con gli interlocutori del Pd. Il punto di partenza sarà il confronto con tutti i possibili alleati, a partire dal Movimento 5Stelle, il cui futuro ha una certezza, Giuseppe Conte, e molte incognite. Il consolidamento del fronte giallorosso non è un dogma, ha precisato Letta, ma il possibile approdo di un confronto che servirà a capire «se esiste la possibilità di fare un pezzo di strada assieme». Altrettanto importante sarà il dialogo con i partiti minori, da Azione di Carlo Calenda ai Verdi a Leu. Il modello vincente, nelle intenzioni del segretario, è uno solo: una grande coalizione in stile Ulivo, perché «con le coalizioni abbiamo vinto nel ’96 e nel 2006». Anche Italia Viva sarà coinvolta nel processo di costruzione del nuovo fronte del centrosinistra. Dopo sette anni, Enrico Letta e Matteo Renzi si troveranno nella stessa stanza. L’ultima volta il clima non era dei più sereni.