«La soluzione migliore è il voto. Che purtroppo il presidente Mattarella ha ritenuto di escludere, per adesso.». «Io non dico sì o no a Draghi ma vediamo, anche per rispetto a Mattarella». «Meglio andare al voto che due anni di Draghi». Sembrano dichiarazioni che provengono dagli estremi opposti dell’arco parlamentare. Invece non lo sono. Le hanno fatte, rispettivamente, la senatrice Barbara Lezzi, la deputata Federica Dieni e l’inossidabile “speaker” Rocco Casalino, tutti esponenti di primo piano del Movimento 5 Stelle.
Assemblee inconcludenti – L’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi rischia di spaccare il Movimento. Nella giornata del 3 febbraio la squadra parlamentare dei grillini si è riunita in assemblea dopo ore di tensione da quando è saltato fuori il nome del banchiere come possibile leader di un nuovo esecutivo. Secondo quanto riporta il giornale on line Open, il punto di incontro non si trova: in molti lamentano una deriva autoritaria, con la linea dettata dalla cupola dei big senza possibilità di appello. Il no del reggente Vito Crimi al governo di “alto profilo” a guida Draghi, che segue a stretto giro la maldestra dichiarazione sulla possibilità di rimettersi al tavolo con Renzi e co, sarebbe l’ennesimo esempio dell’unilateralismo dei leader del partito.
I big per il compromesso – I pezzi grossi del MoV sono contrari al governo tecnico, ma non chiudono completamente la porta ad un qualche tipo di appoggio, anche se la fedeltà a Conte resta la prima scelta del gruppo. In attesa di un pronunciamento da parte del premier uscente, l’establishment pentastellato non si avventura su posizioni radicali. Lichieri, capogruppo al Senato, si pronuncia così: «Su Draghi non voteremo la fiducia, ma voteremo sì a quei provvedimenti che andranno in direzione dei cittadini e No a quelli che andranno contro di loro». Secondo il Fatto Quotidiano, anche Taverna, Toninelli, Spadoni e Bonafede sarebbero di questa idea: senza il Mov non si governa, quindi niente elezioni, niente fiducia, ma teneteci da conto.
Insomma, il tweet infuocato di Toninelli che ha provocato l’ilarità di migliaia di utenti dei social sarebbe più che altro uno sfogo momentaneo, diretto contro l’arcinemico Renzi. Intanto Crimi, appiattito su questa linea, ventila la possibilità di una consultazione sulla piattaforma Rousseau per rimettere la palla agli attivisti.
Il capo – La dichiarazione più criptica è quella di Di Maio, vero capo carismatico del Movimento al netto delle dimissioni formali da dirigente politico: «Io credo che il punto non sia attaccare o meno Draghi, è un economista di fama internazionale […]. Il punto è un altro: la strada da intraprendere quella di un governo politico». L’ex leader apre la strada a una soluzione compromissoria. Tra le righe è da leggersi la possibilità di un governo “ibrido”, con Draghi premier, qualche dicastero gestito da tecnici e il resto assegnato a esponenti dell’attuale maggioranza. Di Maio non lo dice esplicitamente, ma è facile da intendersi.
I grillini responsabili– E proprio le dichiarazioni di Di Maio, che è ancora l’uomo più gradito alla base grillina, potrebbero fare da collegamento tra la leadership e i “responsabili” del Movimento – quel gruppo di deputati che ha aperto in maniera più esplicita all’appoggio a Draghi. Sempre secondo il Fatto, nel corso dell’assemblea sono emerse almeno 4-5 voci possibiliste sulla fiducia. L’ex viceministro Buffagni ha detto che il profilo dell’ex presidente della Bce «è inattaccabile», mentre la deputata Dalila Nesci ha fatto notare che «per dire no alla soluzione individuata dal Presidente Mattarella bisognerebbe avere pronta una valida alternativa politica». Già il 2 febbraio il deputato Emilio Carelli aveva lasciato la formazione, forse, sempre il Fatto, per appoggiare il nuovo esecutivo.
La fronda del no – Grillo non si prouncia, anche se in passato il fondatore del Mov non aveva mancato di sottolineare la scarsa stima verso l’ex presidente della Bce, definito una «una Mary Poppins un po’ suonata». Secondo alcune indiscrezioni di Adnkronos, sarebbe comunque per il no. Da considerare c’è poi quell’ala “originalista” dei grillini che fa capo ad Alessandro di Battista e a Davide Casaleggio, legata alle battaglie dei primordi e che ama dipingersi come unico argine alla trasformazione in partito. Meno di una settimana fa “Dibba” si era addirittura detto disposto a lasciare i pentastellati se non fossero ritornati sui loro passi. Adesso rincara la dose e chiama chi gli è fedele alla battaglia: «Vi accuseranno di tutto. Di essere artefici dello spread. Di blasfemia perché davanti all’apostolo Draghi non vi siete genuflessi. Voi non cedete.». Una voce minoritaria, ma a cui danno credito ancora molti grillini, come la senatrice Lezzi.
Consultazioni – Intanto, nel pomeriggio del 4 febbraio inizieranno le consultazioni con i gruppi dei vari partiti politici. A complicare la posizione del Mov è una dichiarazione del deputato Pd Mirabelli, per cui «senza l’appoggio del Movimento 5 Stelle a Draghi un’alleanza futura sarebbe più difficile». Insomma, l’appoggio promesso da Zingaretti ci sarebbe, ma con una condizionale particolarmente divisiva.
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