La Camera va al centrosinistra per una manciata di voti, manca invece la maggioranza assoluta al Senato, dove il Pdl ottiene più seggi. Ci sono altre due sorprese annunciate: il boom del Movimento 5 Stelle e l’insuccesso della lista Monti. I dati del ministero dell’Interno parlano di un’Italia che va alle urne compatta, però meno che nel 2008: non risponde all’appello il 25 percento dei votanti.
I risultati erano stati in buona parte previsti nelle settimane precedenti al voto. Per qualche ora, all’uscita degli instant poll e poi delle proiezioni statistiche, è sembrato che il centrosinistra conquistasse entrambe le Camere. Poi il ritorno alle vecchie stime, con un Senato in balia di una maggioranza soltanto relativa. Che, a sorpresa, è del centrodestra. Il 30,7 percento delle preferenze gli ha garantito 116 seggi, tre in più di quelli assegnati alla coalizione avversaria. Anche se questa ha ottenuto il 31,6 percento dei voti.
Il motivo si chiama Porcellum. In base alla legge elettorale oggi in vigore, più “X” sulle schede in Lombardia, Campania e Sicilia – dove alla coalizione vincente vanno più seggi che nel resto d’Italia (26, 17 e 15) – sono bastate ad aumentare le poltrone assegnate alla lista Berlusconi, anche a fronte di una percentuale di voti inferiore a livello nazionale.
Uguale legge, diverso meccanismo alla Camera, dove i seggi vengono attribuiti su base nazionale. Lì Bersani ha ricevuto il premio di maggioranza grazie a uno 0,4 percento di voti in più, che fa lievitare i posti a Palazzo Montecitorio a 340. Ma il rischio dell’ingovernabilità si fa concreto lo stesso. Difficile governare contro oltre metà del Parlamento, centrodestra e Movimento 5 Stelle in testa.
Così si aprono scenari possibili come una grande coalizione. Ma ci vorrebbe collaborazione tra Bersani, Berlusconi e Monti, e qui lo scetticismo si spreca, come pure sulla disponibilità della Lega. Oppure il centrosinistra potrebbe bussare alla porta di Grillo, salito sul podio sia alla Camera sia al Senato. Trovandola probabilmente chiusa: i grillini hanno rinnovato il loro no a eventuali alleanze, «se non sui singoli provvedimenti». Il ritorno alle urne, subito o dopo un – complicato – accordo su una nuova legge elettorale, potrebbe favorire proprio loro. Mentre se si ripetessero le elezioni solo per il Senato, mantenendo il Porcellum, l’impasse non sarebbe comunque superata.
Il Movimento 5 Stelle ha sforato il 20 percento ovunque, tranne che in Lombardia e Trentino Alto Adige. Uno “tsunami” che ha travolto l’Italia da Nord a Sud: è stato il primo partito in Liguria, Marche, Abruzzo, Molise e Sicilia. Qui ha raddoppiato i numeri delle regionali di novembre, lasciando a bocca asciutta i big Lombardo e Miccichè. Scettro ai 5 Stelle anche in Veneto, dove avrebbero eroso il consenso dei leghisti.
Soddisfazione a parole ma delusione nei numeri per il partito del premier tecnico, che si è fermato al 10 percento. Fanno per la prima volta il loro ingresso alla Camera i Fratelli d’Italia di La Russa e Meloni. Non hanno invece superato lo sbarramento volti nuovi della politica (Ingroia, Giannino) e veterani di destra come Fini, Bocchino, Crosetto e Storace. A sinistra, restano fuori Di Pietro, Diliberto e Ferrero. Stesso discorso per l’Udc di Casini, che però verrà premiata come “miglior perdente” della coalizione.
Giuliana Gambuzza