«Sono stati firmati dei patti scellerati». Così il ministro delle imprese e Made in Italy Adolfo Urso ha descritto nella sua informativa in Senato gli accordi firmati dal governo Conte 2 nel 2020 con il colosso industriale dell’acciaio Arcelor Mittal. Nessuno che abbia cura dell’interesse nazionale avrebbe mai sottoscritto quel tipo di accordo. La governance era di fatto rimasta nelle mani del socio privato che nel frattempo però deconsolidava l’asset», questa la critica mossa da Urso. Il ministro ha riepilogato la vicenda dell’ex Ilva di Taranto dal 2016 fino agli eventi degli ultimi giorni. L’azienda indiana si è infatti recentemente opposta all’aumento di capitale di 320 milioni di euro che avrebbe portato lo Stato alla maggioranza con il 66% delle quote. «Nel 2023 la produzione si attesterà a meno di 3 milioni di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l’obiettivo minimo che avrebbe dovuto essere nel 2023 di 4 milioni, per poi quest’anno risalire a 5 milioni. Nessuno degli impegni presi è stato mantenuto in merito ai livelli occupazionali e al rilancio industriale», ha detto il ministro facendo il punto sulla produzione attuale. Produzione che, accusa il ministro, si è progressivamente ridotta in spregio agli accordi sottoscritti. Il Governo avrebbe però le mani legate: Mittal sarebbe disposta a diventare socio di minoranza «scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato» ma manterrebbe comunque il privilegio di condivisione della governance, come previsto dalla firma del 2020. «Abbiamo quindi dato mandato ad Invitalia e al suo team di legali di esplorare ogni possibile conseguente soluzione», ha spiegato Urso che promette così anche battaglie legali. Il Governo avrebbe anche in mente un piano siderurgico nazionale per rilanciare il settore con Taranto in primis, poi Terni, Piombino e le acciaierie del Nord Italia.