Le parole nel suo discorso sono 2.727. Tante ma neppure troppe per raccontare in 25 minuti i 75 anni che sono trascorsi da quel 2 giugno 1946, data in cui gli italiani dissero no a monarchia e fascismo, al passato. E con decisione scelsero di aprire un nuovo corso: repubblica e democrazia furono sancite col voto, il primo a suffragio universale delle Storia del Paese. Parole sentite, quelle pronunciate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Festa della Repubblica, che suonano come un addio più che un arrivederci, in quello che è stato il suo ultimo discorso per il 2 giugno da capo dello Stato.
Il semestre bianco è alle porte. I partiti vorrebbero il doppio mandato e Mattarella ha già fatto sapere di non essere disponibile. Forse è per questo che le parole di questo discorso sembrano scelte con tanta cura. Sono il testimone che lascia alle nuove generazioni, invitandole a scegliere «gli esempi, i volti, i modelli, le tante cose positive da custodire di questa nostra Italia. E poi preparatevi a vivere i capitoli nuovi di questa storia, ad essere voi protagonisti del nostro futuro».

 

Repubblica – È la parola più pronunciata nell’intero discorso: 29 volte. È questo lo spartiacque nella storia del Paese, la scelta di un popolo che ha dato inizio a un’altra storia, quella democratica. L’invito a rifarsi allo spirito di quel tempo – mai sopito secondo Mattarella – è chiaro: oggi come allora, il momento storico richiede unità, sacrificio e fiducia. È una Repubblica ideale quella a cui si riferisce Mattarella, la cosa pubblica che si costruisce giorno per giorno.

Storia – Mattarella la pronuncia 18 volte. Il riferimento è a quella passata, costellata di difficoltà e successi, ma anche a quella che verrà: il futuro è nelle nostre mani perché «la storia siamo noi», ricorda Mattarella citando Francesco De Gregori, l’unico uomo menzionato nel suo discorso. Nella storia del Paese vivono le storie di ogni italiano, nessuno deve sentirsi escluso o ininfluente. Che si parli di riforme, imprese o conquiste, ogni svolta è stata fatta da «persone: donne, uomini, giovani che sono state al centro della nostra storia, volendovi esservi e contare. Volendo partecipare».

Crisi, macerie, anni bui – Parole pronunciate 7 volte in tutto, ma i riferimenti ai momenti difficili attraversati dal Paese sono molto di più. Dall’occupazione nazista alla fame del dopoguerra. Dalle stragi di mafia a quelle di terrorismo e Stato. Dalle catastrofi naturali alle crisi economiche che hanno scosso il Paese negli ultimi 15 anni, l’Italia ce l’ha sempre fatta e ce la farà anche questa volta.

Futuro – Ne parla sei volte in tutto e questa parola apre e chiude il ragionamento del discorso: «È questo il momento per costruirlo – esordisce il presidente Mattarella – dovete essere voi giovani a farlo», conclude. Ma il futuro, per Mattarella, si costruisce mettendo in sicurezza il presente: garantendo salute, lavoro e casa. Ma anche prendendo in considerazione le nuove preoccupazioni per la vivibilità e le questioni ambientali. Per questo è necessario cambiare «le priorità nelle agende della politica e dell’economia globale».

Donne – La parola la pronuncia 11 volte, (uomini solo 7) e porta ad esempio la storia di sei cittadine eccellenti che hanno contribuito all’avanzamento del Paese. C’è Lina Merlin, membro dell’assemblea costituente e prima donna eletta al Senato della Repubblica. Nilde Iotti, comunista, prima presidente della Camera dei Deputati. E poi Liliana Segre, monumento vivente della memoria dell’Olocausto che proprio Mattarella ha nominato Senatrice a vita. Non manca Tina Anselmi, partigiana, insegnate e politica: prima donna a ricoprire la carica di ministra della Repubblica. Nel suo discorso, Mattarella ricorda il sorriso di Luana D’Orazio per denunciare la piaga della mancanza di sicurezza sul lavoro che ancora affligge il Paese. E infine Samantha Cristoforetti, fiore all’occhiello della ricerca italiana, e prima donna europea chiamata a comandare la Stazione Spaziale Internazionale.

Solidarietà e uguaglianza – Pronunciate cinque volte, la prima e solo una, la seconda. La solidarietà è l’antidoto per risolvere i problemi della Repubblica. L’Italia ha saputo darne prova in passato, in ogni momento buio della sua storia, e ha continuato a darne nell’ultimo anno quando «ognuno di noi ha ricevuto la solidarietà di altri italiani». L’uguaglianza, invece, è il senso stesso della Repubblica: una frontiera ancora da raggiungere, anche a costo di dure battaglie.