antonio di pietro

Antonio Di Pietro fa il gesto delle manette durante l'intervista a Tgcom del 15 febbraio 2013

Da presidente a estraneo. Gianfranco Fini aveva messo il futuro al centro del partito, ma il suo non se l’aspettava certo così nero. Alle elezioni 2013 Futuro e Libertà, che correva insieme a Udc e Scelta Civica, ha raccolto una manciata di voti, 158mila, 0,46 per cento. Troppo poco per entrare alla Camera, dove la soglia di sbarramento per i partiti in coalizione è del 2 per cento. Così Gianfranco Fini, capolista di Fli in tutte le circoscrizioni, rimane fuori da Montecitorio. Dopo trent’anni esatti. Proprio lui, che della Camera era, fino a pochi mesi fa, il presidente. Le cose, d’altronde, non sono andate molto meglio ai compagni di squadra, Monti e Casini. La coalizione fredda e ragionata del centro puntava al 20 per cento, si sono fermati a meno della metà. Tradotti in seggi, fanno 45 deputati alla Camera e 9 al Senato. Tra i senatori eletti per Scelta Civica c’è anche Pierferdiando Casini, capolista in Basilicata e Campania, che si salva così in extremis. Ma rimane in sostanza senza un partito. L’Udc – partito che negli anni si era destreggiato da una maggioranza all’altra, rimanendo comunque intorno al 5,6 per cento – è ridotta a poco e nulla. «Abbiamo fatto i donatori di sangue», commenta caustico Casini a urne chiuse. Sangue donato prima di tutto al premier uscente, Mario Monti, che ha attratto i voti dei centristi e si è mangiato la fetta di Fli e Udc.

L’unico che può festeggiare, ora, è Silvio Berlusconi. «Se Fini e Casini non entrano in Parlamento mi ubriaco», aveva annunciato, goliardico. Gli aveva fatto eco Assunta Almirante, pronta a brindare anche lei alla sconfitta del “traditore” Fini.

Il flop dei centristi fa rumore ma non è l’unico. Per ogni persona nuova che entra in Parlamento – nella maggioranza grillini – ce n’è una che se ne va. Ad esempio Antonio Di Pietro. L’ex pm milanese torna a casa dopo quindici anni. E lo fa in silenzio, lui che delle urla aveva fatto il miglior antidoto berlusconiano. Nessuna dichiarazione, solo amarezza. La scelta dell’Idv di correre in tandem con Rivoluzione Civile, partito di Antonio Ingroia, non ha portato i risultati sperati. Fuorvianti, anche qui, i sondaggi. Davano il partito di Ingroia all’8 per cento in Campania, una regione chiave. Alla fine Rivoluzione Civile ha preso il 2,5 per cento in Campania, molto meno in altre regioni. Comunque troppo poco. Il risultato porta a picco Di Pietro, lo stesso Ingroia (che per la politica si era sospeso dall’incarico di magistrato) e gli altri partiti che sostenevano Rivoluzione Civile: Rifondazione Comunista di Paolo Ferrero, i Comunisti Italiani di Oliviero Diliberto e i Verdi di Angelo Bonelli.

A casa va anche Paola Concia, deputata dal 2008 per il Partito Democratico. Attiva sul fronte dei diritti civili, Paola Concia non si è mai risparmiata nel parlare di parità di genere e di diritti omosessuali. La sua biografia è tutta abbruzzese: nata ad Avezzano, studia all’ISEF dell’Aquila. Ma proprio dalla sua regione arriva lo schiaffo finale: a Palazzo Madama non ci andrà Paola Concia, bensì Antonio Razzi, ex Idv passato poi al Pdl nel 2010. Quel cambio repentino, compiuto da Razzi e Scilipoti, garantì la fiducia a Berlusconi nel 2010. E adesso il Pdl porta Razzi, ex operaio tessile, in Parlamento. «Nella mia regione manca tante cose», scrisse Razzi con refuso nell’introduzione del suo messaggio elettorale. Un inizio che dà l’idea del personaggio. E fa rabbia, alla Concia soprattutto. «Ma questa è la democrazia», conclude la deputata uscente.

Ecatombe Abruzzo per il Pd, a cui è andato soltanto un seggio su 7. Rimane fuori Franco Marini, ex presidente del Senato, anche lui candidato in Abruzzo come la Concia.

Rimangono fuori dal Parlamento anche i candidati di Fare, il partito di Oscar Giannino. Non si sa se abbia pesato la scoperta della falsa laurea e del falso master millantato da Giannino, fatto sta che il movimento si ferma all’1,1 per cento alla Camera e allo 0,5 al Senato. Esclusi. Nel mondo social qualcuno ha già trovato un nuovo nome per il movimento: “Bere per fermare il declino”.

 

Susanna Combusti