Traballa il reato di abuso d’ufficio e diventa più difficile la pubblicazione delle intercettazioni. Questi alcuni dei punti principali della riforma della giustizia, il disegno di legge su cui il Consiglio dei Ministri deve esoprimersi il 15 giugno, nella riunione programmata per le 18:00. Nel testo anche altre proposte che riguardano misure cautelari e appelli.

I reati – La scelta di abrogare l’abuso di ufficio è la risposta a chi vede, nell’esistenza di questo reato, un ostacolo all’attività della pubblica amministrazione. Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, la riforma è giustificata anche dalle poche condanne rispetto al numero dei processi avviati. I dati del ministero della Giustizia mostrano che, a fronte di 4.745 iscrizioni nel registro degli indagati, le condanne in primo grado sono state solo 18. Su questo punto Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, ha dichiarato: «Togliamo di mezzo una norma dannosa oltre che inutile, visto che è dispendiosa e produce risultati minimi o insignificanti. Questo reato non costituisce più alcuna barriera contro la corruzione, ma penalizza condotte che poi si rivelano del tutto lecite, bloccando l’economia del Paese».
A essere toccato dalla riforma della giustizia sarebbe anche il reato di traffico di influenze illecite, che punisce chi fa da mediatore nelle attività di corruzione. Il testo prevede che l’applicazione del reato sia limitata solo ai casi più gravi.  Aumenterebbe però la pena minima, mentre per chi collabora con la giustizia sarebbe garantita l’impunibilità.

Le intercettazioni – La riforma della giustizia propone una stretta in tema di pubblicità delle intercettazioni. Finora il loro contenuto poteva essere pubblicato dopo essere stato trascritto e depositato presso la segreteria del pubblico ministero. Se la riforma sarà approvata, le intercettazioni saranno invece pubblicabili solo quando usate durante un dibattimento o se il giudice le inserirà tra le motivazioni di un provvedimento. Soltanto le parti e i loro legali potranno avere una copia delle intercettazioni non contenute negli atti e non pubblicabili. Contrari alle misure l’Ordine dei giornalisti, che ha parlato di «bavaglio», e l’Associazione nazionale magistrati, in disaccordo anche sulla nuova disciplina dell’abuso d’ ufficio.
La stretta riguarda poi anche la trascrizione delle intercettazioni. Il pubblico ministero dovrà vigilare sulla redazione dei brogliacci e il giudice dovrà stralciare le intercettazioni che contengono riferimenti a dati di persone diverse dalle parti in causa, a meno che non siano rilevanti per le indagini.

Le misure cautelari – Con la riforma cambierebbe anche la procedura per l’applicazione delle misure cautelari, introducendo la possibilità di un contraddittorio preventivoi. Ciò significa che, se alla fine delle indagini preliminari l’indagato deve essere sottoposto a un provvedimento cautelare ma non c’è la necessità di esecuzione “a sorpresa”, l’indagato può avere un confronto con il giudice prima che la misura venga applicata.
Il testo della riforma interviene anche sulla custodia cautelare in carcere, che non potrà più essere disposta solo dal gip, ma dovrà essere il frutto di una decisione collegiale di 3 giudici. Per applicare questa proposta sarà necessario aumentare l’organico dei magistrati. La riforma prevede quindi 250 assunzioni, con nuove modalità di concorso e tempistiche abbreviate.

Appelli – Nel caso di assoluzione in primo grado per reati non gravi, la pubblica accusa non potrà fare appello alla sentenza. La proposta, già presentata in passato dal deputato Gaetano Pecorella e approvata nella legge 46 del 2006. La norma, definita “ad personam” dall’opposizione, era stata poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale nel 2007. Il divieto di appello dopo le assoluzioni è stato infatti un punto identitario della politica di Berlusconi, di cui Pecorella era avvocato. Anche Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica al tempo della legge Pecorella, la rimandò alle camere prima dell’approvazione, non convito della sua legittimità costituzionale.

Mattarella – Nello stesso giorno in cui il governo ha deciso di occuparsi di giustizia, sullo stesso tema si è espresso anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha definito «indiscutibile» l’autonomia delle toghe. Nel suo discorso al Quirinale ai magistrati in tirocinio si è poi richiamato alla Costituzione come fonte legittimante dell’azione giudiziaria: «L’evoluzione della società determina la nascita di sempre nuove domande di giustizia. A esse la magistratura deve poter fornire una risposta, attraverso la sapiente attività di applicazione della legge, che va condotta lungo il binario dei principi e dei valori costituzionali».