Ascia di guerra sepolta, o meglio, decreti sepolti. Almeno fin quando la corsa delle elezioni europee non giungerà al traguardo. Ieri, 22 maggio, il premier Giuseppe Conte e il suo vice Matteo Salvini sono stati ricevuti al Quirinale, in due diversi momenti, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, vincitore di giornata. Le sue perplessità, espresse nei giorni precedenti, sul Decreto Sicurezza bis del ministro degli Interni e sul Decreto Famiglia, voluto dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio, si sono trasformate in un rinvio della loro discussione alla prossima settimana. Nessun nuovo Consiglio dei ministri fissato, quindi, una soluzione che il numero uno della Lega ha continuato invece ad auspicare fino agli incontri risolutori avvenuti al Colle in serata.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

I decreti della discordia – Dopo la conclusione del meeting con Mattarella, il presidente del Consiglio ha tenuto una conferenza stampa per annunciare lo slittamento del Consiglio dei ministri per approvare il Decreto Sicurezza bis e il Decreto Famiglia. Entrambi avevano suscitato spaccature tra i due partiti di maggioranza, i ministri tecnici e il Quirinale stesso. Se dell’impianto salviniano preoccupava la presunta incostituzionalità delle multe per i soccorritori delle navi di migranti, la misura grillina, che prevede aiuti alle famiglie con neonati a carico, era stata accolta con perplessità per la mancanza di coperture finanziarie. Una posizione che aveva creato, in ultimo, un duro scambio di battute tra Di Maio e il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il Dl Sicurezza è stato smussato nella sua parte più critica: non si parla più di reato per soccorso di migranti, ma restano le multe per tutti coloro che non dovessero rispettare il divieto di ingresso in acque italiane. Dunque, anche per le Ong. Il Dl Famiglia dovrebbe invece trasformarsi in un disegno di legge, dall’iter di approvazione molto più lungo quindi, non essendo stata riscontrata la necessità d’urgenza. La modifica dei testi ha comunque indotto le parti a una certa prudenza, non affrettando la loro conversione in legge.

Il ruolo del Quirinale – Durante la sua conferenza, Conte ha precisato come i cambiamenti e gli spostamenti dei due decreti fossero figli dell’esclusiva azione governativa, senza ingerenze esterne, comprese quelle del Capo dello Stato. «Non gli si può attribuire la censura preventiva, né un sindacato politico», ha dichiarato il premier, per poi proseguire, «gli si fa un torto in astratto e in concreto: non ha svolto questo ruolo e non intendeva svolgerlo». Una precisazione puntuale, dovuta al rischio, avvertito dallo stesso Mattarella, di essere troppo coinvolto nell’azione legislativa ed essere così avvicinato alle posizioni di uno dei due partiti. Non è un caso che spesso, nei giorni scorsi, i grillini si fossero dipinti quasi come i garanti delle perplessità provenienti dal Quirinale. L’incontro di ieri tra Conte e Mattarella è stato però definito come “cordiale” ed è stato ribadito il valore fondamentale di non intromissione di quest’ultimo nell’attività politica.

«Non mi do fuoco» – Questa l’espressione usata da Salvini, ospite ieri da Porta a Porta, per commentare il rinvio del suo provvedimento. Un’accettazione a quanto pare serena, corredata da ulteriori affermazioni che hanno confermato la sua fedeltà all’attuale esecutivo e la volontà di non premere per chiedere rimpasti di governo, qualsiasi sia il risultato elettorale. Nonostante si respiri un’aria più serena, il leader del Carroccio ha comunque gettato sul tavolo un nuovo possibile elemento di scontro, annunciando l’intenzione di voler abolire il reato di abuso d’ufficio: «Ci sono migliaia di sindaci bloccati, hanno paura di firmare qualsiasi cosa». Di Maio ha già iniziato il duello, replicando: «Il prossimo passo sarà togliere la corruzione? Più lavoro e meno stronzate». Ma Salvini non è forse l’elemento che preoccupa più il leader del M5S, impegnato anche a replicare alle insinuazioni di Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e riferimento per i malumori dei leghisti che vorrebbero, se non una rottura, almeno una ridefinizione dell’alleanza di governo dopo le elezioni: «Ogni giorno c’è qualcuno che fa la conta delle poltrone e mette in crisi il governo, stavolta è toccato a Giorgetti».