È ora di iniziare a scrivere il romanzo Quirinale, a una settimana esatta dall’inizio delle votazioni. Beppe Grillo, dal suo blog, insieme a Roberto Casaleggio, lancia questo ultimatum: «Chiediamo a Renzie la rosa di nomi che si appresta a presentare, come ha ribadito più volte, in qualità di presidente del partito di maggioranza, per proporla ai nostri iscritti in Rete e farla votare».
I nomi pensati dal Movimento sarebbero stati tutti scartati come nel 2013, si legge nel post, e quelli concordati dal duo Renzi-Berlusconi non possono più rimanere custoditi «nel chiuso di una stanza». Devono uscire fuori e rendere nota l’identità del “Presidente del Nazareno”, frutto del patto che viene definito dagli ideologi dei 5 Stelle come “baratto”, “mini comitato di affari”, “suk”, in definitiva “una negazione della democrazia”. «Il duo Grillo-Casaleggio chiuso in una stanza ha già gettato nel ‘tunnel dell’orrore’ qualsiasi nome emerso per il Quirinale e ora, ingordo, ne chiede altri». L’accusa contro il caminetto Pd-Fi viene subito rimandata al mittente dal vicepresidente democratico della Camera, Roberto Giachetti: «Ma la Rete è d’accordo nell’aver cassato tutti quei nomi? Non lo sapremo mai. I due, chiusi in una stanza, decideranno quale nome la Rete dovrà scegliere».
In ogni caso un nome sicuro c’è, ed è quello di Antonio Martino, candidato dei moderati, ovvero di Area Popolare (Ncd e Udc) e di Silvio Berlusconi; l’approvazione dell’emendamento Esposito e dunque il via libera alla legge elettorale ha modificato ulteriormente gli equilibri di Pd e Fi, e, con essi, la partita del Colle. Il leader azzurro si sente più forte e sottolinea il cambiamento della geografia politica di governo Pd: «Non ha più la maggioranza al Senato. FI torna centrale».
«Le opposizioni non esistono in questo disegno», continua il post firmato a quattro mani da Grillo-Casaleggio «Le opposizioni sono chiamate in causa dal magnifico duo solo per ricattarsi a vicenda, se serve, e spuntare qualcosa, come è successo per il voto per la legge elettorale». Intanto proprio mercoledì pomeriggio si è riunita alla Camera la minoranza democratica, che non vuole sfaldarsi dopo aver perso la battaglia dell’Italicum e desidera avere voce in capitolo nella scelta del Capo dello Stato. L’ex segretario Bersani si prefigura come l’interlocutore del premier nelle trattative sulle candidature, anche se Rosy Bindi, parte del gruppo di dissidenti, rettifica: «Solo se Bersani mi interpella, se dice le cose che io ritengo di dire. Se dice sì a un nome senza avermi chiesto se mi va bene, no».
In tutto questo il presidente del Consiglio, al World Economic Forum di Davos in Svizzera, ha fatto sapere soltanto che la prossima settimana incontrerà gli altri partiti di tutto l’arco costituzionale perché «anche il presidente della Repubblica, come le riforme, si fanno nel modo più largo possibile e non solo con la maggioranza di governo». Mancano sette giorni e il romanzo Quirinale è solo all’inizio.
Marta Latini