Gli italiani si stanno esprimendo in queste ore sui cinque quesiti relativi a lavoro e cittadinanza. Parliamo di referendum abrogativi, che hanno come obiettivo la cancellazione totale o parziale di leggi approvate in precedenza. Senza quorum del 50% più uno di votanti, tutto resta com’è. Ma sappiamo quali sono nel dettaglio le regole di questo strumento? Cosa lo distingue dalle altre tipologie referendarie?

Tre tipologie – Il referendum rappresenta il principale istituto di democrazia diretta attraverso cui i cittadini italiani possono esprimersi direttamente, senza l’intermediazione delle istituzioni. Uno strumento decisionale che si affianca ai tradizionali istituti della democrazia rappresentativa, che si basano sulla mediazione dei rappresentanti eletti in Parlamento dai cittadini. In Italia, a livello nazionale, esistono tre tipologie di referendum. Oltre a quelli abrogativi, sono possibili referendum consultivi e costituzionali.

Referendum abrogativi – Per quanto riguarda quelli abrogativi, la Costituzione prevede che 500 mila cittadini o cinque Consigli regionali possano richiederli, proponendo all’intero elettorato la cancellazione totale o parziale di una legge. Sta poi alla Corte di Cassazione verificare la regolarità delle firme e la correttezza della formulazione del quesito e alla Corte costituzionale pronunciarsi sull’ammissibilità, sulla base dell’art. 75 della Costituzione. Ci sono però materie su cui sappiamo in partenza che non è possibile indire referendum abrogativi. Non possono essere eliminate leggi tributarie e di bilancio e di ratifica di trattati internazionali. Anche atti di amnistia e indulto non possono essere abrogati. Una volta che i quesiti sono dichiarati ammissibili, il referendum abrogativo è valido se partecipa alla consultazione almeno il 50% più uno degli elettori. Senza quorum, che corrisponde oggi a oltre 25 milioni di votanti, nessun cambiamento alle leggi. Sono stati 39 su 67 i referendum abrogativi che hanno superato il 50% d’affluenza. E gli ultimi ad aver raggiunto il quorum risalgono al 2011, con i quesiti su legittimo impedimento, servizi locali, acqua pubblica ed energia nucleare.

Referendum costituzionali – Le leggi che modificano la Costituzione possono essere invece sottoposte a referendum solo se vengono approvate a maggioranza assoluta da ciascuna Camera senza il voto favorevole dei due terzi. Servono le firme di 500 mila elettori, l’intervento di cinque Consigli regionali o un quinto dei membri di una Camera per chiedere la consultazione popolare. Il testo passato in Parlamento può essere dunque confermato o rigettato, senza necessità di un quorum minimo. Dal dopoguerra in poi, sono stati quattro i referendum costituzionali. L’ultimo nel 2020, sul taglio del numero dei parlamentari.

Referendum consultivi – A differenza dei referendum costituzionali e abrogativi, il voto dei cittadini per quanto riguarda i referendum consultivi, vale come un parare non vincolante per il legislatore. Serve dunque a sondare la volontà della popolazione su una determinata questione, senza quorum. A livello nazionale è stato indetto (ottenendo il sì) una sola volta, nel 1989, sull’ipotesi di rafforzamento politico delle istituzioni europee.